Avendo vissuto
per oltre un quarto di secolo in Via Zezio, mi e’ capitato spesso di
ricevere richieste di “spelling” di questo curioso nome, che non
trova omologhi in altre citta’.
Quante volte ho pensato che per chi abitava in Via Milano o in Via
Garibaldi doveva essere molto facile evitare che il proprio indirizzo
fosse compreso malamente; sono certo che altrettanto avranno fatto i
postini, costretti ad interpretare le fantasiose “traduzioni” del
toponimo Zezio.
Ricordo di essermi fatto qualche risata ricevendo al mio domicilio
buste con la scritta “Via Ezebio”, “Via Eusebio”, “Via
Zero”, “Via Ezio”, giusto per indicare quelle cosi’ strambe da
essere ancora vive nella mia mente a distanza di decenni; fuori
classifica le lettere inviate in “Via Zezzio”, con due zeta:
quelle neanche si contavano.
Probabilmente vissi in quella zona quando i portalettere conoscevano
ancora le persone per nome e cognome e, con un minimo di buon senso e
di buona volonta’, ce la facevano a recapitare correttamente la
posta indipendentemente dalla fantasia dei mittenti.
Oggi il problema non si pone piu’; siamo nell’epoca di Internet e
nessuno si meraviglia davanti ad indirizzi difficilissimi da
trascrivere, anzi, se non c’e’ neppure una chiocciola, uno slash,
un underscore o un vuvuvu pare che qualcosa non vada.
Le cassette delle lettere hanno perso buona parte della loro funzione:
per via cartacea viaggiano solo la pubblicita’ e le bollette da
pagare ed i mittenti di queste piaghe postali hanno database bene
aggiornati e quindi non falliscono un colpo.
Di certo il nome o il toponimo Zezio sono quanto meno particolari e
non sono presenti in praticamente nessun’altra localita’ al di
fuori del comasco; un’unica eccezione e’ rappresentata dalla
famiglia bellinzonese degli Zezio, le cui prime tracce documentali
risalgono al 1307: “…vengono da Como. Famiglia di aromatari e
farmacisti, diede sacerdoti e un arciprete. Ultimo del nome il
canonico Fulgenzio morto nel 1868; rami in Castione: di probabile
derivazione da questa i Zezzio di Locarno e Ascona. Per oltre un
secolo, ebbero in eredita’ in famiglia l'incarico di organisti;
dapprima Carlo Francesco sui primordi del secolo diciottesimo, poi il
figlio Tomaso Antonio e infine Fulgenzio. Malgrado una fioritura di
figli maschi, il casato si estingue nel Borgo. Avevan casa in
Codeborgo.”
(Fonte: Patriziato di Bellinzona)
Sul toponimo, invece, si sa molto di piu’, ma la descrizione del
nome Zezio riportata sulle targhe stradali, “antica pieve
suburbana”, mi lascio’ perplesso fin da bambino.
Tutti i miei compagni delle elementari abitavano in vie dedicate ad un
patriota, ad un eroe, ad uno dei poeti, santi e navigatori di cui
l’Italia e’ fucina; cosa diavolo era una “antica pieve
suburbana”?
Ci vollero un po’ di anni per imparare che la pieve era una specie
di parrocchia ante litteram; diversi autori fanno risalire il vocabolo
pieve al latino plebs - plebis, cioe’ plebe, ad indicare
cosi’ che questa parola non indicava solo una chiesa, ma anche un
territorio e la comunita’ che in esso viveva e lavorava;
l’etimologia stessa del vocabolo ci spiega dunque come la pieve non
rappresentasse solo un’istituzione di carattere religioso, ma
svolgesse spesso anche mansioni amministrative, anagrafiche e comunque
secolari.
D’altra parte a quei tempi c’erano poche persone in grado di
leggere, scrivere e fare di conto e la presenza dei religiosi
garantiva, oltre all’assistenza spirituale, anche la
disponibilita’ sul territorio di qualcuno in grado di reggere in
mano una penna e non solo una zappa, come facevano invece la
stragrande maggioranza degli abitanti.
Da dove origini il nome Zezio e’ un po’ difficile da stabilire;
alcune fonti affermano che questo fosse il nome dell’antico borgo di
San Martino, che e’ in effetti ancor oggi attraversato da parte a
parte dalla Via Zezio, mentre altri autori lo attribuiscono ad una
storpiatura della parola latina “ecclesia”, o della sua
traduzione in buon comasco “gesa”.
Quest’ultima ipotesi fa pero’ arricciare il naso a molti storici
che, in tal caso, non saprebbero spiegare perche’ tanto il toponimo
quanto il cognome ebbero cosi’ scarsa diffusione, mentre il vocabolo
chiesa e tutte le sue accezioni dialettali appaiono invece con
frequenza negli albi araldici e nelle carte geografiche di tutta
Italia.
Venendo alla storia, gia’ a fine del 1200 si hanno notizie della
pieve di Zezio, la cui istituzione si deve all’allora podesta’ di
Como, il marchese Bertoldo di Hohenburg.
Inizialmente la pieve era divisa in quattro circoscrizioni
territoriali e comprendeva le chiese di San Giacomo e di Coloniola,
nel quartiere di porta San Lorenzo, San Nazaro e Sant'Eusebio, nel
quartiere di porta Sala, San Sisto e San Donnino, nel quartiere di
porta Torre, San Benedetto, San Salvatore di Vico, Prestino e San
Michele di Cavallasca, nel quartiere Monastero.
Documenti risalenti ad epoche successive testimoniano la crescita
territoriale della pieve: ai tempi della visita pastorale del vescovo
Ninguarda, nel 1590, la giurisdizione si estendeva alle parrocchie di
Torno, Blevio, Brunate, Civiglio, Ponzate, Solzago, Tavernerio,
Capiago, Albate, Grandate, Camerlata, Rebbio, Breccia, Cavallasca,
Chiasso, Maslianico, Piazza, Rovenna, Stimianico, Cernobbio, Moltrasio,
Urio.
La forte espansione della “vulgo plebis Zezii” creo’
evidentemente alcune difficolta’ di carattere gestionale ed
amministrativo, perche’ nel 1756 si opto’ per la divisione in due
distinte parti, la pieve di Zezio superiore e la pieve di Zezio
inferiore, nella quale confluirono le comunita’ residenti nei comuni
piu’ periferici a sud della citta’, nell’area che oggi divide
Como da Cantu’.
A testimonianza dell’intimo connubio tra l’attivita’ religiosa e
quella amministrativa svolta dalle pievi, la divisione non avvenne per
opera dell’autorita’ ecclesiastica, ma a seguito dell’editto del
19 giugno 1756 “Riforma al governo della citta’ e contado di
Como”, ad opera di Maria Teresa d'Austria la quale, guarda che
coincidenza, e’ in qualche modo legata all’attuale Via Zezio, dato
che ancor oggi un complesso residenziale sito alla confluenza con la
Via Maurizio Monti porta il nome di “Orti Teresiani”.
Tra alterne vicende la pieve crebbe fino a comprendere, secondo la
“Statistica anime Lombardia” del 1771, oltre tremila persone; a
fine 1800, con la separazione del Canton Ticino dalla diocesi di Como,
la parrocchia di Chiasso si stacco’.
In seguito, pur con diverse variazioni di carattere territoriale, il
termine “pieve di Zezio” continuo’ a rimanere in uso, per
apparire l’ultima volta nell'annuario della diocesi nel 1965.
L’antica pieve suburbana, che tante perplessita’ mi causo’
durante l’infanzia, raccoglie quindi settecento anni buoni di storia
comasca e da’ il nome ad una delle piu’ lunghe strade della
citta’.
Via Zezio si stende oggi lungo un’area da sempre considerata tra le
piu’ amene e solatie di tutta Como; non e’ certo un caso se gli
antichi romani, maestri nell’arte di godere del meglio, proprio qua
edificarono tra il primo e il secondo secolo la grande villa che fu
portata alla luce nel 1975.
Ancora oggi Via Zezio conserva il suo carattere di zona residenziale:
le poche centinaia di metri che la separano dalla citta’ murata e,
probabilmente, gli elevati costi degli immobili, scoraggiano la
crescita di nuovi negozi o di uffici, lasciando quindi spazio alle
abitazioni private, agli spazi verdi, alle poche botteghe “di una
volta”.
Le abitazioni sono per la maggior parte occupate da inquilini con i
capelli sempre piu’ bianchi, dato che i giovani, per problemi di
budget familiare, sono maggiormente propensi a mettere su casa in zone
piu’ periferiche ed economicamente piu’ abbordabili della citta’.
La fuga dei giovani, pur rappresentando uno dei problemi tipici delle
nostre citta’, ha fatto si’ che lungo la Via Zezio ci siano ancora
molte persone che amano vivere coi ritmi di un mondo che sta
scomparendo e che mantengono viva la memoria della Como che fu.
La via che perpetua il ricordo dell’antica pieve suburbana
rappresenta oggi un serbatoio di cultura lariana, grazie alle vestigia
del passato, al mantenimento di edifici che testimoniano i trascorsi
fasti nobiliari ed economici della citta’ ed alla memoria storica
dei suoi abitanti.
E’ nostro compito avere cura e rispetto di questo pezzo di storia
comasca e, per la verita’, non ci vuole molto: basta cominciare a
non sporcare per terra, a non imbrattare i muri, a tenere sotto
controllo la continenza dei cani, a non cimentarsi nell’arte del
parcheggio selvaggio e ad alleggerire il piede sull’acceleratore, in
ossequio ai ritmi lenti di molti abitanti della zona e al nome, strano
magari, ma nobile e antico, che fa la guardia a questo scampolo di
citta’.
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