L'uomo che sussurrava agli aeroplani

Giorgio Rizzi
Pubblicato su "Como e dintorni" n. 89 - settembre 2011


Qualche tempo fa mi ero addentrato nei meandri di Facebook per passare il tempo, quando un utente, conoscendo la mia passione per tutte le cose che volano, mi domandò se si potessero apprezzare differenze di pilotaggio in aerei dello stesso modello.Non mi sembrò il caso di addentrarmi in particolari tecnici e di spiegare che ogni singolo aereo varia notevolmente il proprio comportamento sui comandi in funzione di mille cose, quali il peso, la posizione del baricentro, la pressione, la temperatura e l’umidità dell’aria ed altri mille parametri e che quindi non sono possibili grossi confronti tra una macchina e l’altra, benché identiche, perché dovrebbero essere effettuati in condizioni assolutamente equiparabili, cosa spesso impossibile nella realtà e realizzabile esclusivamente all’interno di un simulatore di volo.  
Risposi invece all’amico virtuale in maniera un po’ più “poetica”, dicendo che ogni singolo aereo ha un carattere ben preciso e che la sua risposta ai comandi è frutto di mille diversi stati d’animo, che risentono di altrettante variabili e che, non ultimo, dipendono dal rapporto che egli sa stringere col pilota.
Più o meno, parlando dei “miei” aeroplani, risposi cosi: “li saluto tutti al mattino e li sveglio; li rimetto a nanna la sera e non chiudo l'hangar finché non si sono messi quieti, dopo l'eccitazione della giornata.
Li ringrazio alla fine di ogni volo perché hanno fatto bene il loro onesto lavoro e quindi anche per questa sera mi concederanno il privilegio di essere vivo; prendo sempre estremamente sul serio la loro ansia o la loro insicurezza.
Sto tranquillo quando loro sono tranquilli e mi parlano, rizzo le orecchie quando volano in punta di piedi e mi rispondono a mezze frasi, torno a casa di gran carriera se loro hanno paura e balbettano, non vado neppure in volo se quella mattina non sentono le mie parole.
Uno psicologo direbbe che l'aereo è l'oggetto bersaglio dei miei stati d'ansia o di chissà quale altra mia condizione di scarso equilibrio mentale; io, che non sono così acculturato ma sono semplicemente un pilota, so solo che l'aereo è il mio compagno di volo, un’attività nella quale o si torna entrambi vivi o non torna nessuno dei due, quindi do loro retta e li tratto bene.
Non ho mai fatto una sola coccola ad un aereo che non sia stata ripagata al momento opportuno con una prestazione eccellente e prima o poi nella vita avremo tutti bisogno di una prestazione eccellente, di quelle che non si trovano nei manuali di volo.
Tratto bene i miei aeroplani, di qualunque dimensione essi siano e so che loro tratteranno bene me; se li trattassi come macchine, loro mi tratterebbero come un guidatore e, al primo errore serio di pilotaggio, non si farebbero grossi problemi ad ammazzarmi con indifferenza.”

Evidentemente questa mia risposta un po’ al di fuori delle righe, ma neanche tanto se si conosce la letteratura aeronautica, dovette piacere all’utente di Facebook che mi aveva rivolto la domanda il quale, invece di restare deluso e di confermare nella propria mente la certezza che chiunque voli debba in fondo essere un po’ pazzo, se ne uscì dicendo “sei un uomo che sussurra agli aeroplani”.
Lui non lo sapeva, ma in questa breve frase aveva racchiuso l’essenza dell’attività di un pilota, la cui principale missione è quella di garantire al massimo la sicurezza del volo, soprattutto quando ci sono condizioni un po’ critiche, come capitato ad esempio qualche sabato fa quando è venuto giù il finimondo e le strade della città si sono trasformate in fiumi; io ero in volo sopra le Alpi svizzere fino a pochi minuti prima del diluvio.
Prima di decollare avevo svolto come sempre un accurato briefing meteo, avevo cioè analizzato con attenzione e scrupolo tutti i bollettini disponibili, grazie ai quali mi ero fatto un quadro ben chiaro di quella che era la situazione del tempo sull’aeroporto di partenza, quello di destinazione, quelli sui quali avrei eventualmente potuto dirottare e lungo tutta la rotta che avrei dovuto coprire.
Non vi era nessuna indicazione di condizioni difficili o di sviluppi particolari: nuvolaglia alta, qualche cumulo un po’ più tosto in lenta evoluzione, possibilità di piogge da lì a circa tre o quattro ore, venti deboli; tutto era assolutamente nei limiti della sicurezza e della piena gestibilità del volo.
Eravamo ormai intorno ai quattromila metri e salivamo ancora, ammirando le formazioni nuvolose che davano vita ad effimere ma meravigliose sculture a mezz’aria, quando cominciai a percepire come l’aereo desse segni di nervosismo e rispondesse di malavoglia ai miei comandi; trafficai un po’ sugli apparati di bordo, giusto per accertarmi del fatto che tutto fosse in piena efficienza.
Gli aerei sono macchine robuste, affidabili e sicure e, come mi aspettavo, anche questa volta non trovai assolutamente nulla che fosse fuori posto.
Tutto funzionava a dovere ma, nonostante fossimo in volo insieme, l’aereo ed io non stavamo più condividendo le decisioni e gli obiettivi della giornata; io guardavo avanti, verso l’aeroporto di destinazione, lui guardava in basso, verso la certezza della pista di casa.
Non ebbi dubbio alcuno: ai passeggeri dissi semplicemente “torniamo indietro”, mentre il cielo blu e il bianco delle nuvole invogliavano a proseguire il volo, ma era chiaro che la mia decisione non ammetteva discussioni.
Scivolammo giù veloci verso la pista e capii che, ancora una volta, l’aereo aveva ragione: lo scroscio ci colse a cinque secondi dal contatto col suolo e completammo la nostra corsa di atterraggio quasi alla cieca, poi piano piano raggiungemmo il parcheggio dove un’anima pia ci venne a raccattare con un mezzo adeguato a risparmiarci la doccia.
In sala piloti, intanto, tutti si stavano domandando da che parte fosse arrivato questo fortunale imprevisto e quali facoltà divinatorie avessero permesso a noi di immaginare l’evoluzione della meteo e di rientrare per tempo.
Nessuno ebbe nulla da eccepire quando semplicemente si sentirono dire che l’aereo non era tranquillo e quindi eravamo tornati a casa…
In realtà se avessimo continuato sulla nostra rotta non sarebbe successo nulla di grave: saremmo semplicemente atterrati su uno degli altri aeroporti che avevamo davanti a noi e tutto si sarebbe risolto con la seccatura di dovere trovare un mezzo qualsiasi per arrivare a destinazione, ma il sapere ascoltare lo stato d’animo del nostro amico con le ali ci risparmiò tutto il trambusto.
Di storie come questa ne avvengono a dozzine ogni giorno e non meritano neppure la dignità della carta stampata; tuttavia mi fa piacere che questa piccola esperienza riesca in qualche modo a finire tra le mani dei lettori, soprattutto di quelli fifoni, che sono già in ansia perché le imminenti vacanze estive li costringeranno a salire su un aereo contro la loro volontà.
Andate tranquilli.
A prendersi cura di voi, una volta che avrete staccato l’ombra da terra ci saranno tante persone: qualcuna vi offrirà il caffè, qualcuna vi seguirà sul radar e davanti, in cabina di pilotaggio, ci saranno due soggetti strani con la divisa blu e le spalline d’oro che con l’aria seria terranno lo sguardo concentrato sull’enorme quantità di schermi, quadranti e bottoni che affollano il loro ufficio volante.
Siate certi che ognuno di loro farà la propria parte con la massima professionalità ma, soprattutto, non dubitate che se il vero protagonista del volo, l’aereo, avrà il benché minimo sentore di qualcosa che non va, non perderà un attimo a trasmettere la sua inquietudine ai piloti e loro, a costo di passare per pazzi, scenderanno sul primo aeroporto disponibile e di là non si muoveranno fino a che il bestione non si sarà calmato.
Il volo è gioco di squadra e, fino a che sulla terra esisterà la forza di gravità, il caposquadra sarà sempre lui, il bestione, che sa bene come farsi capire.
Buone vacanze e felici atterraggi a tutti.