Qualche
tempo fa mi ero addentrato nei meandri di Facebook per passare il
tempo, quando un utente, conoscendo la mia passione per tutte le cose
che volano, mi domandò se si potessero apprezzare differenze di
pilotaggio in aerei dello stesso modello.Non mi sembrò il caso di
addentrarmi in particolari tecnici e di spiegare che ogni singolo
aereo varia notevolmente il proprio comportamento sui comandi in
funzione di mille cose, quali il peso, la posizione del baricentro, la
pressione, la temperatura e l’umidità dell’aria ed altri mille
parametri e che quindi non sono possibili grossi confronti tra una
macchina e l’altra, benché identiche, perché dovrebbero essere
effettuati in condizioni assolutamente equiparabili, cosa spesso
impossibile nella realtà e realizzabile esclusivamente all’interno
di un simulatore di volo.
Risposi invece
all’amico virtuale in maniera un po’ più “poetica”, dicendo
che ogni singolo aereo ha un carattere ben preciso e che la sua
risposta ai comandi è frutto di mille diversi stati d’animo, che
risentono di altrettante variabili e che, non ultimo, dipendono dal
rapporto che egli sa stringere col pilota.
Più o meno,
parlando dei “miei” aeroplani, risposi cosi: “li saluto tutti al
mattino e li sveglio; li rimetto a nanna la sera e non chiudo l'hangar
finché non si sono messi quieti, dopo l'eccitazione della giornata.
Li ringrazio
alla fine di ogni volo perché hanno fatto bene il loro onesto lavoro
e quindi anche per questa sera mi concederanno il privilegio di essere
vivo; prendo sempre estremamente sul serio la loro ansia o la loro
insicurezza.
Sto tranquillo
quando loro sono tranquilli e mi parlano, rizzo le orecchie quando
volano in punta di piedi e mi rispondono a mezze frasi, torno a casa
di gran carriera se loro hanno paura e balbettano, non vado neppure in
volo se quella mattina non sentono le mie parole.
Uno psicologo
direbbe che l'aereo è l'oggetto bersaglio dei miei stati d'ansia o di
chissà quale altra mia condizione di scarso equilibrio mentale; io,
che non sono così acculturato ma sono semplicemente un pilota, so
solo che l'aereo è il mio compagno di volo, un’attività nella
quale o si torna entrambi vivi o non torna nessuno dei due, quindi do
loro retta e li tratto bene.
Non ho mai
fatto una sola coccola ad un aereo che non sia stata ripagata al
momento opportuno con una prestazione eccellente e prima o poi nella
vita avremo tutti bisogno di una prestazione eccellente, di quelle che
non si trovano nei manuali di volo.
Tratto bene i
miei aeroplani, di qualunque dimensione essi siano e so che loro
tratteranno bene me; se li trattassi come macchine, loro mi
tratterebbero come un guidatore e, al primo errore serio di
pilotaggio, non si farebbero grossi problemi ad ammazzarmi con
indifferenza.”
Evidentemente
questa mia risposta un po’ al di fuori delle righe, ma neanche tanto
se si conosce la letteratura aeronautica, dovette piacere all’utente
di Facebook che mi aveva rivolto la domanda il quale, invece di
restare deluso e di confermare nella propria mente la certezza che
chiunque voli debba in fondo essere un po’ pazzo, se ne uscì
dicendo “sei un uomo che sussurra agli aeroplani”.
Lui non lo
sapeva, ma in questa breve frase aveva racchiuso l’essenza
dell’attività di un pilota, la cui principale missione è quella di
garantire al massimo la sicurezza del volo, soprattutto quando ci sono
condizioni un po’ critiche, come capitato ad esempio qualche sabato
fa quando è venuto giù il finimondo e le strade della città si sono
trasformate in fiumi; io ero in volo sopra le Alpi svizzere fino a
pochi minuti prima del diluvio.
Prima di
decollare avevo svolto come sempre un accurato briefing meteo, avevo
cioè analizzato con attenzione e scrupolo tutti i bollettini
disponibili, grazie ai quali mi ero fatto un quadro ben chiaro di
quella che era la situazione del tempo sull’aeroporto di partenza,
quello di destinazione, quelli sui quali avrei eventualmente potuto
dirottare e lungo tutta la rotta che avrei dovuto coprire.
Non vi era
nessuna indicazione di condizioni difficili o di sviluppi particolari:
nuvolaglia alta, qualche cumulo un po’ più tosto in lenta
evoluzione, possibilità di piogge da lì a circa tre o quattro ore,
venti deboli; tutto era assolutamente nei limiti della sicurezza e
della piena gestibilità del volo.
Eravamo ormai
intorno ai quattromila metri e salivamo ancora, ammirando le
formazioni nuvolose che davano vita ad effimere ma meravigliose
sculture a mezz’aria, quando cominciai a percepire come l’aereo
desse segni di nervosismo e rispondesse di malavoglia ai miei comandi;
trafficai un po’ sugli apparati di bordo, giusto per accertarmi del
fatto che tutto fosse in piena efficienza.
Gli aerei sono
macchine robuste, affidabili e sicure e, come mi aspettavo, anche
questa volta non trovai assolutamente nulla che fosse fuori posto.
Tutto
funzionava a dovere ma, nonostante fossimo in volo insieme, l’aereo
ed io non stavamo più condividendo le decisioni e gli obiettivi della
giornata; io guardavo avanti, verso l’aeroporto di destinazione, lui
guardava in basso, verso la certezza della pista di casa.
Non ebbi
dubbio alcuno: ai passeggeri dissi semplicemente “torniamo
indietro”, mentre il cielo blu e il bianco delle nuvole invogliavano
a proseguire il volo, ma era chiaro che la mia decisione non ammetteva
discussioni.
Scivolammo giù
veloci verso la pista e capii che, ancora una volta, l’aereo aveva
ragione: lo scroscio ci colse a cinque secondi dal contatto col suolo
e completammo la nostra corsa di atterraggio quasi alla cieca, poi
piano piano raggiungemmo il parcheggio dove un’anima pia ci venne a
raccattare con un mezzo adeguato a risparmiarci la doccia.
In sala
piloti, intanto, tutti si stavano domandando da che parte fosse
arrivato questo fortunale imprevisto e quali facoltà divinatorie
avessero permesso a noi di immaginare l’evoluzione della meteo e di
rientrare per tempo.
Nessuno ebbe
nulla da eccepire quando semplicemente si sentirono dire che l’aereo
non era tranquillo e quindi eravamo tornati a casa…
In realtà se
avessimo continuato sulla nostra rotta non sarebbe successo nulla di
grave: saremmo semplicemente atterrati su uno degli altri aeroporti
che avevamo davanti a noi e tutto si sarebbe risolto con la seccatura
di dovere trovare un mezzo qualsiasi per arrivare a destinazione, ma
il sapere ascoltare lo stato d’animo del nostro amico con le ali ci
risparmiò tutto il trambusto.
Di storie come
questa ne avvengono a dozzine ogni giorno e non meritano neppure la
dignità della carta stampata; tuttavia mi fa piacere che questa
piccola esperienza riesca in qualche modo a finire tra le mani dei
lettori, soprattutto di quelli fifoni, che sono già in ansia perché
le imminenti vacanze estive li costringeranno a salire su un aereo
contro la loro volontà.
Andate
tranquilli.
A prendersi
cura di voi, una volta che avrete staccato l’ombra da terra ci
saranno tante persone: qualcuna vi offrirà il caffè, qualcuna vi
seguirà sul radar e davanti, in cabina di pilotaggio, ci saranno due
soggetti strani con la divisa blu e le spalline d’oro che con
l’aria seria terranno lo sguardo concentrato sull’enorme quantità
di schermi, quadranti e bottoni che affollano il loro ufficio volante.
Siate certi
che ognuno di loro farà la propria parte con la massima
professionalità ma, soprattutto, non dubitate che se il vero
protagonista del volo, l’aereo, avrà il benché minimo sentore di
qualcosa che non va, non perderà un attimo a trasmettere la sua
inquietudine ai piloti e loro, a costo di passare per pazzi,
scenderanno sul primo aeroporto disponibile e di là non si muoveranno
fino a che il bestione non si sarà calmato.
Il volo è
gioco di squadra e, fino a che sulla terra esisterà la forza di
gravità, il caposquadra sarà sempre lui, il bestione, che sa bene
come farsi capire.
Buone vacanze
e felici atterraggi a tutti.
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