VIII Conferenza Nazionale di Sanita' Pubblica
Attivita' agonistica, stress e vaccinazioni

Universita' Cattolica del Sacro Cuore di Roma
19 novembre 2003

intervento presentato anche al
12.mo convegno di Medicina dello Sport - Petrosino (TP)
4 ottobre 2003


Lezione magistrale di Giorgio Rizzi
Pubblicato su "Il Medico sportivo" n. 4 - 2003 (8)



Anche se appare difficile pensare che un atleta, a dispetto della sua forma fisica, delle corrette abitudini di vita e dei numerosi controlli medici ai quali e' sottoposto, possa essere particolarmente esposto alle infezioni in generale ed all’epidemia influenzale in particolare, oggi sappiamo che esiste un momento preciso della vita dell’atleta durante il quale il sistema immunitario si trova in condizioni di non potere garantire un’adeguata risposta nei confronti dei patogeni.
E’ noto ormai da un secolo che i linfociti vengono attivati nel sangue prima e durante l’esercizio fisico; tuttavia la concentrazione dei linfociti si riduce notevolmente dopo l’esercizio stesso.
Si assiste quindi ad un calo generalizzato dell’attivita' del sistema immunitario nella fase post esercizio; questo fenomeno, definito come “open window”, e' rilevabile in diverse condizioni di stress fisico, quali l’esercizio, la chirurgia, le ustioni, i traumi, l’infarto miocardico acuto e le infezioni severe. Durante la fase di open window il soggetto viene a trovarsi in una situazione di particolare rischio di infezioni.
Per un atleta e' facile immaginare come questa condizione corrisponda ad un momento in cui la possibilita' di contatto con patogeni e' particolarmente elevata: immediatamente dopo una gara, infatti, l’abbraccio dei tifosi, la permanenza negli spogliatoi insieme ad altre persone, il vapore acqueo delle docce, l’aria condizionata degli ambienti o dei mezzi di trasporto, rappresentano un veicolo ottimale attraverso il quale possono essere contratti agenti potenzialmente infettivi.
La fase di “open window”, ha una durata estremamente variabile sia nel soggetto sia nella popolazione; si attesta su tempi oscillanti tra le 3 e le 72 ore, in funzione del livello immunitario basale del soggetto e si concretizza in un elevato rischio di infezioni in corso di allenamento intensivo o durante le due settimane seguenti eventi sportivi di particolare impegno atletico.
Esistono poi diverse concause che contribuiscono ad elevare la suscettibilita' dell’atleta alle infezioni: gli elevati ritmi respiratori, la conseguente secchezza delle mucose orali e l’aumento della viscosita' del muco, comportano una ridotta clearance a livello nasale e tracheale; fattori dietetici ed insufficiente apporto di componenti nutrizionali essenziali (glutamina, arginina, L-carnitina, acidi grassi essenziali, vitamina B6, acido folico, vitamina E) possono ridurre la mobilizzazione linfocitaria.
I microtraumi muscolari, anche se in una fase iniziale portano all’espressione della proteina C reattiva e di altri fattori che stimolano le funzioni immunitarie, comportano poi un sequestro leucocitario nella sede del trauma stesso ed il rilascio di radicali liberi.
Le problematiche relative ai traumi non devono essere sottovalutate, poiche' il loro impatto sul sistema immunitario puo' essere notevole; peraltro, la smania di riprendere l’attivita' fisica al piu' presto o, nel caso dell’atleta professionista, la necessita' di onorare impegni agonistici pressanti e contratti stipulati da esigenti sponsor, induce a tentare la strada di una rapida riabilitazione e di un rientro in attivita' a guarigione non ancora completata.
Considerando gli sportivi nella loro completezza, si e' potuto notare come dopo un infortunio il 35% degli atleti ha abbandonato dopo poche sedute l’iter riabilitativo, il 50% degli atleti infortunati ha sospeso la fisioterapia alla scomparsa dei sintomi e solo il 15% ha avuto un rapporto professionale con l’iter terapeutico-riabilitativo.
Si stima inoltre che, in caso di infortunio sportivo, nell’80% dei casi il primo soccorso sul campo viene effettuato dal dirigente o da un giocatore, nel 12% dal massaggiatore, nel 5% dall’allenatore e solo nel 3% dal medico di squadra o da un medico casualmente presente alla gara.
Ovvio che in queste condizioni gli eventi traumatici rischino di essere sottovalutati e che l’atleta riprenda l’attivita' mentre parte dei suoi leucociti sono deviati verso la sede della lesione e quindi indisponibili per una funzione immunitaria completa.
E’ stato anche osservato come un’alta concentrazione ematica di catecolamine, adrenalina e noradrenalina corrisponda alle fasi di maggiore attivazione linfocitaria, mentre la fase successiva all’esercizio, francamente cortisolica, sia corrispondente alla riduzione della concentrazione linfocitaria.
Poiche' la secrezione del cortisolo endogeno e' influenzata dai ritmi circadiani, nello stesso soggetto, l’impatto della fase cortisolica post stress fisico sulla open window puo' essere variabile in funzione delle diverse ore della giornata. Cio' dimostra che esiste un legame tra stress psicologico, sistema endocrino, sistema nervoso e sistema immunitario.
E’ interessante notare come, sia l’esercizio fisico di lieve intensita' o durata, sia esercizi piu' intensi e prolungati sono in grado di attivare i linfociti nel sangue, ma solo sforzi prolungati (>1 ora) e/o di elevata intensita' (>70% VO
2 max) producono immunosoppressione nella fase post esercizio. Per questo motivo il rischio di infezioni, in particolar modo delle vie aeree superiori, varia grandemente in funzione dell’attivita' fisica, essendo minimo in concomitanza ad attivita' fisica moderata e piu' elevato nei soggetti sedentari o sottoposti ad attivita' intensa.
La riduzione del rischio passa attraverso diverse metodiche:
E’ innanzi tutto opportuno minimizzare l’esposizione ai patogeni, mantenere un adeguato apporto dietetico ma, soprattutto, e' fondamentale ottimizzare l’allenamento.
Un soggetto ben allenato sa esprimere un lavoro muscolare superiore e quindi ridurre lo sforzo fisico che da adito alle fenomenologie sopra descritte; inoltre un soggetto allenato respira in maniera meno affannosa ed e' meno esposto al rischio di microtraumi.
A questo proposito si raccomanda anche l’utilizzo di attrezzature idonee; questo consiglio vale soprattutto per gli atleti amatoriali, spesso tentati di usare un certo tipo di attrezzatura solo perche' e' quella utilizzata dal campione preferito, ma non per questo necessariamente la piu' idonea per il soggetto.
La riduzione dello stress psicologico porta indubbi vantaggi anche se e' spesso di difficile attuazione.
Molto piu' realisticamente e' invece possibile praticare la vaccinoprofilassi, per tutte quelle patologie per le quali e' disponibile un vaccino.
La vaccinoprofilassi e' caldeggiata in tutti i soggetti a particolare rischio, quali gli anziani, i diabetici, i cardiopatici, i portatori di BPCO; e' opportuno che il medico ed il medico sportivo in primo luogo, si abituino a considerare l’atleta, soprattutto il professionista, quale un soggetto a rischio e lo sottopongano pertanto alle opportune manovre vaccinoprofilattiche.
Oltre che per le patologie piu' comuni, quali l’influenza, o per patologie piu' gravi ma comunque contraibili nel nostro paese, quale il tetano, la profilassi vaccinale e' particolarmente indicata nell’atleta che deve spostarsi nel mondo per onorare i suoi impegni agonistici.
La vaccinazione degli atleti che viaggiano impone la considerazione di diverse variabili: la destinazione, la durata del viaggio, lo stato immunitario, di salute e l’eta' dell’atleta, l’eventuale presenza di allergie e, non ultimo nel caso di atleti di sesso femminile, l’eventuale stato di gravidanza, ricordando come risultati sportivi di rilievo siano stati ottenuti talvolta da atlete in dolce attesa, come nel caso della nostra canoista Josefa Idem o della compianta sciatrice austriaca Ulriche Maier.
Vanno inoltre valutati i possibili effetti collaterali dei vaccini, le possibili interferenze tra antigeni in caso di necessita' di polivaccinazione, il tempo a disposizione prima della partenza nonche' l’eventuale presenza di epidemie nelle regioni dove ci si deve recare.
Esistono una serie di patologie per le quali e' possibile attuare la vaccinoprofilassi, alcune delle quali endemiche solo in particolari zone del globo, quali meningite meningococcica, encefalite giapponese rabbia, malaria, febbre gialla oppure altre infezioni che sono secondarie ad atteggiamenti a rischio, quali l’epatite B, la cui trasmissione avviene attraverso emotrasfusioni, punture accidentali con aghi e rapporti sessuali.
Particolare interesse rivestono patologie come epatite A e tifo che sono invece presenti in numerose zone del globo e difficilmente prevenibili, se non con strettissime norme igieniche a volte di difficile attuazione.
L’epatite A e' l’infezione, prevenibile tramite immunizzazione, piu' frequente nei viaggiatori.
E’ 40 volte piu' frequente del tifo e 800 rispetto al colera; l’infezione e' virale e la trasmissione oro-fecale prevalentemente attraverso frutti di mare crudi o poco cotti, verdura, acqua.
La sintomatologia comprende ittero, anoressia, nausea, alterazione dei test di funzionalita' epatica, ma spesso l’infezione passa clinicamente inosservata.
La vaccinazione comprende una 1a dose di vaccino nel muscolo deltoide, conferisce immunita' totale dopo 10-15 giorni. Una seconda dose dopo 6-12 conferisce immunita' per 10 anni.
Il vaccino puo' essere utilizzato a partire dal quinto mese di vita; nei bambini sopra i 10 anni si puo' utilizzare il vaccino per adulti.
Il tifo da' adito a quadri clinici estremamente variabili che vanno dall’infezione asintomatica, alle forme classiche caratterizzate da febbre, malessere generale, cefalea, perdita d’appetito, costipazione o diarrea, fino alle piu' severe caratterizzate da interessamento neurologico.
Le complicanze piu' temute sono rappresentate da perforazione o emorragia intestinale e fenomeni settici. La letalita' e' pari al 10-20% nelle forme non trattate.
Nel mondo sono stimati circa 17.000.000 di casi annui con oltre 600.000 decessi; Africa, Asia, Centro e Sud America rappresentano le zone a piu' elevata endemia.
In Italia sono notificati annualmente meno di 800 casi, oltre l’80% dei quali si verificano nelle regioni del sud e delle isole.
L’incidenza annuale di febbre tifoide nell’Italia meridionale ed insulare varia fra due e quattro casi ogni 100.000 residenti.
Sono oggi disponibili vaccini per via iniettiva e per via orale; in particolare modo l’efficacia sul campo del vaccino orale contenente il ceppo Ty21 e' stata studiata su 600.000 soggetti ed e' stata pari al 78-96%, a tre anni e al 62% a sette anni dalla somministrazione delle tre dosi. Una 4a dose migliora significativamente la risposta alla vaccinazione.
Da non sottovalutare l’impatto dell’influenza, una patologia dal peso economico e sociale rilevante che determina un’elevata morbilita' ed eccesso di mortalita' nelle categorie a rischio.
L’influenza rappresenta un importante problema di sanita' pubblica a livello mondiale per ubiquita', contagiosita', variabilita' antigenica del virus, esistenza di serbatoi animali, andamento epidemico/pandemico.
Inoltre le severe complicanze soprattutto nei soggetti a rischio e non ultimo il costo economico, aggravano l’impatto di una malattia che in Italia costituisce la 3a causa di morte per patologie infettive, preceduta da AIDS e tubercolosi, a seguito delle frequenti complicanze che comprendono l'aggravamento di patologie croniche preesistenti quali pneumopatie e cardiopatie.
Il vaccino si pratica stagionalmente per inoculazione intramuscolare.
Affiancato ad un valido programma di allenamento che eviti carichi di lavoro eccessivi o tempi di recupero troppo limitati, il vaccino a puo' essere di grande aiuto nell’attivita' di un atleta professionista od amatoriale, per consentirgli di svolgere al meglio l’attivita' sportiva e minimizzare il rischio di infezioni.
Un atleta con un adeguato livello immunitario e' meno suscettibile agli episodi infettivi ed in definitiva maggiormente performante; cosi' come medici sportivi ed allenatori lavorano sodo per migliorare la struttura muscolo scheletrica dello sportivo e renderlo meno esposto ad infortuni ed in grado di fornire una migliore prestazione, altrettanta attenzione deve essere posta per quanto riguarda le difese organiche.
Dopo i primi vaccini a virus intero inattivato, la ricerca, puntando ad una maggiore tollerabilita' ha messo a disposizione i vaccini split ed a subunita', nei quali l’incidenza di effetti collaterali era decisamente ridotta, ma l’effetto immunogenetico non risultava ottimale.
La piu' recente acquisizione e' rappresentata dal vaccino virosomiale, nel quale gli agenti virali sono incorporati nel doppio strato lipidico di liposomi, particelle che si formano per idratazione dei fosfolipidi e che consentono al vaccino di ottenere un effetto immunogenetico ottimale senza particolari problemi di reattogenesi.
I virosomi offrono i vantaggio di un’innata assenza di tossicita'; sono inoltre biologicamente degradabili, non contengono conservanti o detergenti e consentono una presentazione naturale degli antigeni al sistema immune.
Si tratta di preparati ad alta tecnologia, sicuri ed efficaci che consentono di mantenere un adeguato livello di immunita' nei soggetti vaccinati, senza indurre effetti collaterali in pazienti di ogni fascia di eta' e condizione fisica, ivi compresi i bimbi sotto i dodici anni, gli anziani, i pazienti immunocompromessi o comunque defedati ed i soggetti ad elevato rischio di infezione, quali dobbiamo abituarci a considerare gli sportivi.