Anche se appare difficile pensare che un atleta, a
dispetto della sua forma fisica, delle corrette abitudini
di vita e dei numerosi controlli medici ai quali e'
sottoposto, possa essere particolarmente esposto alle
infezioni in generale ed all’epidemia influenzale in
particolare, oggi sappiamo che esiste un momento preciso
della vita dell’atleta durante il quale il sistema
immunitario si trova in condizioni di non potere
garantire un’adeguata risposta nei confronti dei
patogeni.
E’ noto ormai da un secolo che i linfociti vengono
attivati nel sangue prima e durante l’esercizio
fisico; tuttavia la concentrazione dei linfociti si
riduce notevolmente dopo l’esercizio stesso.
Si assiste quindi ad un calo generalizzato
dell’attivita' del sistema immunitario nella fase
post esercizio; questo fenomeno, definito come “open
window”, e' rilevabile in diverse condizioni di
stress fisico, quali l’esercizio, la chirurgia, le
ustioni, i traumi, l’infarto miocardico acuto e le
infezioni severe. Durante la fase di open window il
soggetto viene a trovarsi in una situazione di
particolare rischio di infezioni.
Per un atleta e' facile immaginare come questa condizione
corrisponda ad un momento in cui la possibilita' di
contatto con patogeni e' particolarmente elevata:
immediatamente dopo una gara, infatti, l’abbraccio
dei tifosi, la permanenza negli spogliatoi insieme ad
altre persone, il vapore acqueo delle docce, l’aria
condizionata degli ambienti o dei mezzi di trasporto,
rappresentano un veicolo ottimale attraverso il quale
possono essere contratti agenti potenzialmente infettivi.
La fase di “open window”, ha una durata
estremamente variabile sia nel soggetto sia nella
popolazione; si attesta su tempi oscillanti tra le 3 e le
72 ore, in funzione del livello immunitario basale del
soggetto e si concretizza in un elevato rischio di
infezioni in corso di allenamento intensivo o durante le
due settimane seguenti eventi sportivi di particolare
impegno atletico.
Esistono poi diverse concause che contribuiscono ad
elevare la suscettibilita' dell’atleta alle
infezioni: gli elevati ritmi respiratori, la conseguente
secchezza delle mucose orali e l’aumento della
viscosita' del muco, comportano una ridotta clearance a
livello nasale e tracheale; fattori dietetici ed
insufficiente apporto di componenti nutrizionali
essenziali (glutamina, arginina, L-carnitina, acidi
grassi essenziali, vitamina B6, acido folico, vitamina E)
possono ridurre la mobilizzazione linfocitaria.
I microtraumi muscolari, anche se in una fase iniziale
portano all’espressione della proteina C reattiva e
di altri fattori che stimolano le funzioni immunitarie,
comportano poi un sequestro leucocitario nella sede del
trauma stesso ed il rilascio di radicali liberi.
Le problematiche relative ai traumi non devono essere
sottovalutate, poiche' il loro impatto sul sistema
immunitario puo' essere notevole; peraltro, la smania di
riprendere l’attivita' fisica al piu' presto o, nel
caso dell’atleta professionista, la necessita' di
onorare impegni agonistici pressanti e contratti
stipulati da esigenti sponsor, induce a tentare la strada
di una rapida riabilitazione e di un rientro in attivita'
a guarigione non ancora completata.
Considerando gli sportivi nella loro completezza, si e'
potuto notare come dopo un infortunio il 35% degli atleti
ha abbandonato dopo poche sedute l’iter
riabilitativo, il 50% degli atleti infortunati ha sospeso
la fisioterapia alla scomparsa dei sintomi e solo il 15%
ha avuto un rapporto professionale con l’iter
terapeutico-riabilitativo.
Si stima inoltre che, in caso di infortunio sportivo,
nell’80% dei casi il primo soccorso sul campo viene
effettuato dal dirigente o da un giocatore, nel 12% dal
massaggiatore, nel 5% dall’allenatore e solo nel 3%
dal medico di squadra o da un medico casualmente presente
alla gara.
Ovvio che in queste condizioni gli eventi traumatici
rischino di essere sottovalutati e che l’atleta
riprenda l’attivita' mentre parte dei suoi leucociti
sono deviati verso la sede della lesione e quindi
indisponibili per una funzione immunitaria completa.
E’ stato anche osservato come un’alta
concentrazione ematica di catecolamine, adrenalina e
noradrenalina corrisponda alle fasi di maggiore
attivazione linfocitaria, mentre la fase successiva
all’esercizio, francamente cortisolica, sia
corrispondente alla riduzione della concentrazione
linfocitaria.
Poiche' la secrezione del cortisolo endogeno e'
influenzata dai ritmi circadiani, nello stesso soggetto,
l’impatto della fase cortisolica post stress fisico
sulla open window puo' essere variabile in funzione delle
diverse ore della giornata. Cio' dimostra che esiste un
legame tra stress psicologico, sistema endocrino, sistema
nervoso e sistema immunitario.
E’ interessante notare come, sia l’esercizio
fisico di lieve intensita' o durata, sia esercizi piu'
intensi e prolungati sono in grado di attivare i
linfociti nel sangue, ma solo sforzi prolungati (>1
ora) e/o di elevata intensita' (>70% VO2 max) producono immunosoppressione
nella fase post esercizio. Per questo motivo il rischio
di infezioni, in particolar modo delle vie aeree
superiori, varia grandemente in funzione
dell’attivita' fisica, essendo minimo in
concomitanza ad attivita' fisica moderata e piu' elevato
nei soggetti sedentari o sottoposti ad attivita' intensa.
La riduzione del rischio passa attraverso diverse
metodiche:
E’ innanzi tutto opportuno minimizzare
l’esposizione ai patogeni, mantenere un adeguato
apporto dietetico ma, soprattutto, e' fondamentale
ottimizzare l’allenamento.
Un soggetto ben allenato sa esprimere un lavoro muscolare
superiore e quindi ridurre lo sforzo fisico che da adito
alle fenomenologie sopra descritte; inoltre un soggetto
allenato respira in maniera meno affannosa ed e' meno
esposto al rischio di microtraumi.
A questo proposito si raccomanda anche l’utilizzo di
attrezzature idonee; questo consiglio vale soprattutto
per gli atleti amatoriali, spesso tentati di usare un
certo tipo di attrezzatura solo perche' e' quella
utilizzata dal campione preferito, ma non per questo
necessariamente la piu' idonea per il soggetto.
La riduzione dello stress psicologico porta indubbi
vantaggi anche se e' spesso di difficile attuazione.
Molto piu' realisticamente e' invece possibile praticare
la vaccinoprofilassi, per tutte quelle patologie per le
quali e' disponibile un vaccino.
La vaccinoprofilassi e' caldeggiata in tutti i soggetti a
particolare rischio, quali gli anziani, i diabetici, i
cardiopatici, i portatori di BPCO; e' opportuno che il
medico ed il medico sportivo in primo luogo, si abituino
a considerare l’atleta, soprattutto il
professionista, quale un soggetto a rischio e lo
sottopongano pertanto alle opportune manovre
vaccinoprofilattiche.
Oltre che per le patologie piu' comuni, quali
l’influenza, o per patologie piu' gravi ma comunque
contraibili nel nostro paese, quale il tetano, la
profilassi vaccinale e' particolarmente indicata
nell’atleta che deve spostarsi nel mondo per onorare
i suoi impegni agonistici.
La vaccinazione degli atleti che viaggiano impone la
considerazione di diverse variabili: la destinazione, la
durata del viaggio, lo stato immunitario, di salute e
l’eta' dell’atleta, l’eventuale presenza
di allergie e, non ultimo nel caso di atleti di sesso
femminile, l’eventuale stato di gravidanza,
ricordando come risultati sportivi di rilievo siano stati
ottenuti talvolta da atlete in dolce attesa, come nel
caso della nostra canoista Josefa Idem o della compianta
sciatrice austriaca Ulriche Maier.
Vanno inoltre valutati i possibili effetti collaterali
dei vaccini, le possibili interferenze tra antigeni in
caso di necessita' di polivaccinazione, il tempo a
disposizione prima della partenza nonche'
l’eventuale presenza di epidemie nelle regioni dove
ci si deve recare.
Esistono una serie di patologie per le quali e' possibile
attuare la vaccinoprofilassi, alcune delle quali
endemiche solo in particolari zone del globo, quali
meningite meningococcica, encefalite giapponese rabbia,
malaria, febbre gialla oppure altre infezioni che sono
secondarie ad atteggiamenti a rischio, quali
l’epatite B, la cui trasmissione avviene attraverso
emotrasfusioni, punture accidentali con aghi e rapporti
sessuali.
Particolare interesse rivestono patologie come epatite A
e tifo che sono invece presenti in numerose zone del
globo e difficilmente prevenibili, se non con
strettissime norme igieniche a volte di difficile
attuazione.
L’epatite A e' l’infezione, prevenibile tramite
immunizzazione, piu' frequente nei viaggiatori.
E’ 40 volte piu' frequente del tifo e 800 rispetto
al colera; l’infezione e' virale e la trasmissione
oro-fecale prevalentemente attraverso frutti di mare
crudi o poco cotti, verdura, acqua.
La sintomatologia comprende ittero, anoressia, nausea,
alterazione dei test di funzionalita' epatica, ma spesso
l’infezione passa clinicamente inosservata.
La vaccinazione comprende una 1a dose di vaccino nel
muscolo deltoide, conferisce immunita' totale dopo 10-15
giorni. Una seconda dose dopo 6-12 conferisce immunita'
per 10 anni.
Il vaccino puo' essere utilizzato a partire dal quinto
mese di vita; nei bambini sopra i 10 anni si puo'
utilizzare il vaccino per adulti.
Il tifo da' adito a quadri clinici estremamente variabili
che vanno dall’infezione asintomatica, alle forme
classiche caratterizzate da febbre, malessere generale,
cefalea, perdita d’appetito, costipazione o diarrea,
fino alle piu' severe caratterizzate da interessamento
neurologico.
Le complicanze piu' temute sono rappresentate da
perforazione o emorragia intestinale e fenomeni settici.
La letalita' e' pari al 10-20% nelle forme non trattate.
Nel mondo sono stimati circa 17.000.000 di casi annui con
oltre 600.000 decessi; Africa, Asia, Centro e Sud America
rappresentano le zone a piu' elevata endemia.
In Italia sono notificati annualmente meno di 800 casi,
oltre l’80% dei quali si verificano nelle regioni
del sud e delle isole.
L’incidenza annuale di febbre tifoide
nell’Italia meridionale ed insulare varia fra due e
quattro casi ogni 100.000 residenti.
Sono oggi disponibili vaccini per via iniettiva e per via
orale; in particolare modo l’efficacia sul campo del
vaccino orale contenente il ceppo Ty21 e' stata studiata
su 600.000 soggetti ed e' stata pari al 78-96%, a tre
anni e al 62% a sette anni dalla somministrazione delle
tre dosi. Una 4a dose migliora significativamente la
risposta alla vaccinazione.
Da non sottovalutare l’impatto dell’influenza,
una patologia dal peso economico e sociale rilevante che
determina un’elevata morbilita' ed eccesso di
mortalita' nelle categorie a rischio.
L’influenza rappresenta un importante problema di
sanita' pubblica a livello mondiale per ubiquita',
contagiosita', variabilita' antigenica del virus,
esistenza di serbatoi animali, andamento
epidemico/pandemico.
Inoltre le severe complicanze soprattutto nei soggetti a
rischio e non ultimo il costo economico, aggravano
l’impatto di una malattia che in Italia costituisce
la 3a causa di morte per patologie infettive, preceduta
da AIDS e tubercolosi, a seguito delle frequenti
complicanze che comprendono l'aggravamento di patologie
croniche preesistenti quali pneumopatie e cardiopatie.
Il vaccino si pratica stagionalmente per inoculazione
intramuscolare.
Affiancato ad un valido programma di allenamento che
eviti carichi di lavoro eccessivi o tempi di recupero
troppo limitati, il vaccino a puo' essere di grande aiuto
nell’attivita' di un atleta professionista od
amatoriale, per consentirgli di svolgere al meglio
l’attivita' sportiva e minimizzare il rischio di
infezioni.
Un atleta con un adeguato livello immunitario e' meno
suscettibile agli episodi infettivi ed in definitiva
maggiormente performante; cosi' come medici sportivi ed
allenatori lavorano sodo per migliorare la struttura
muscolo scheletrica dello sportivo e renderlo meno
esposto ad infortuni ed in grado di fornire una migliore
prestazione, altrettanta attenzione deve essere posta per
quanto riguarda le difese organiche.
Dopo i primi vaccini a virus intero inattivato, la
ricerca, puntando ad una maggiore tollerabilita' ha messo
a disposizione i vaccini split ed a subunita', nei quali
l’incidenza di effetti collaterali era decisamente
ridotta, ma l’effetto immunogenetico non risultava
ottimale.
La piu' recente acquisizione e' rappresentata dal vaccino
virosomiale, nel quale gli agenti virali sono incorporati
nel doppio strato lipidico di liposomi, particelle che si
formano per idratazione dei fosfolipidi e che consentono
al vaccino di ottenere un effetto immunogenetico ottimale
senza particolari problemi di reattogenesi.
I virosomi offrono i vantaggio di un’innata assenza
di tossicita'; sono inoltre biologicamente degradabili,
non contengono conservanti o detergenti e consentono una
presentazione naturale degli antigeni al sistema immune.
Si tratta di preparati ad alta tecnologia, sicuri ed
efficaci che consentono di mantenere un adeguato livello
di immunita' nei soggetti vaccinati, senza indurre
effetti collaterali in pazienti di ogni fascia di eta' e
condizione fisica, ivi compresi i bimbi sotto i dodici
anni, gli anziani, i pazienti immunocompromessi o
comunque defedati ed i soggetti ad elevato rischio di
infezione, quali dobbiamo abituarci a considerare gli
sportivi.
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