20XX - Sport funzionali e sport estetici



Vi sono sport funzionali e sport estetici, o judged sports.

La finalità di uno sport funzionale è quella di ottenere un risultato: segnare un gol nel calcio, ribattere la pallina nel tennis, infilare una palla in un canestro nel basket, eccetera.
A sancire il successo in uno sport funzionale è in genere il cronometro, od il punteggio finale di un incontro.

La finalità di uno sport estetico, invece, è quella di riprodurre nella maniera più precisa possibile un determinato gesto, codificato da una federazione, da un regolamento, da una tradizione.
La classifica di uno sport estetico è pertanto in genere stilata sulla base della valutazione di uno o più giudici di gara.

Sono sport estetici, ad esempio, i tuffi, la danza, il dressage dei cavalli, l’acrobazia aerea, il pattinaggio artistico.
Negli sport estetici esiste un limite, che è rappresentato dalla perfezione nella riproduzione di un modello, spesso associato al nome stesso del suo inventore: la virata Immelmann nell’acrobazia aerea, il salto Axel nel pattinaggio artistico, eccetera.

Il praticante di uno sport estetico è dunque focalizzato su come si possa riprodurre in modo adeguato un toeloop, o un tuffo carpiato ritornato, o un Piaffer; non è invece un suo problema primario sapere perché quella figura, o quel gesto, si siano evoluti e siano stati codificati in una determinata maniera.

Possiamo quindi dire che lo sport estetico è la ripetizione di un preciso codice comportamentale “e prima e seconda e terza e quarta e quinta e Grand Plié”, con la finalità di raggiungere la perfezione del gesto che, almeno teoricamente, esiste ed è rappresentata o rappresentabile da un modello umano, grafico o da un codice.

Lo sport funzionale, invece, bada al risultato, con il solo limite che questo risultato sia ottenuto in maniera conforme ad un regolamento e quindi non sanzionabile: poco importa che il gesto che ha condotto un pallone in rete sia esteticamente perfetto, o totalmente sgraziato; l’importante è che si faccia gol e che l’arbitro non abbia nulla da ridire.
Se poi ci si mette anche la malizia e l’arbitro non vede qualche irregolarità, pazienza; il famoso gol “mano de dios” di Maradona, che mandò a casa l’Inghilterra dal mondiale 1986, ne è la prova più significativa.

Il Nordic Walking è uno sport funzionale che, come noto, nasce intorno al 1930 quale tecnica di allenamento per gli atleti dello sci di fondo, al fine di sommare la spinta propulsiva dei bastoni alla forza delle gambe e ottenere pertanto un gesto atletico più completo, più veloce, più allenante.
Lo scopo primario del Nordic Walking, quindi, fin dai suoi albori, è quello di affiancare il bastone, da sempre complementare al cammino umano, all’azione degli arti inferiori, cioè di “spingere” con i bastoni.

Così come una squadra di calcio realizza lo scopo del suo sport quando segna un gol, così come il tennista realizza lo scopo del suo sport quando induce in errore l’avversario, altrettanto il Nordic Walking realizza il proprio scopo quando, attraverso la spinta dei bastoni, rende la marcia più veloce, più lunga, più cadenzata e meglio rispettosa della biomeccanica umana, coinvolgendo altresì un maggiore numero di muscoli; quindi, semplificando al massimo, il Nordic Walking può dirsi tale quando “si spinge con i bastoni”.
Il concetto di spinta va affrontato sotto punti di vista che spaziano dalla fisica, alla meccanica generale, alla biomeccanica umana.

In fisica, con “spinta” si intende la forza di reazione scambiata tra due o più due corpi in base al terzo principio della dinamica, un postulato enunciato da Isaac Newton nel 1687, che stabilisce che, se un corpo esercita una forza su un secondo corpo, allora il secondo corpo esercita sul primo una forza uguale e contraria.

Traducendo dal “fisichese”, Newton ci dice che se un bastone spinge indietro, il corpo dell’atleta reagirà con una spinta in avanti e, conseguentemente, con una accelerazione del movimento.
Ecco quindi che il Signor Newton ci spiega come il concetto di “accelerazione”, se non proprio di velocità, sia insito per principio fisico nell’azione stessa del Nordic Walking.

Praticamente Newton ci dice che se una persona cammina senza bastoni a X km/h, quando usa i bastoni dovrà forzatamente camminare a X+Y km/h, dove X è la velocità di base del soggetto e Y è la risultante della spinta dei bastoni.
Senza questa “Y”, non vi è spinta e senza spinta siamo di fronte a un soggetto che sta usando i bastoni per motivi diversi da quelli che sono stati indicati fin dalla nascita di questo sport.
Il soggetto in questione magari starà facendo un buon esercizio fisico, magari starà passeggiando felicemente, magari si starà persino divertendo ma, dice Newton, NON sta praticando Nordic Walking.

Il terzo principio della dinamica introduce il concetto di forza, dalla quale deriva la spinta; il suddetto principio definisce “forza” la causa capace di modificare lo stato di quiete o di moto di un corpo.
Se non c’è modificazione dello stato di quiete o di moto, non c’è forza e quindi non c’è spinta e se non c’è spinta, non c’è Nordic Walking; ovvero, se la “causa capace di modificare lo stato di quiete o di moto di un corpo”, nel nostro caso il bastone, non sortisce effetti misurabili sullo stato di moto (cioè sulla camminata) del praticante, non ci troviamo in presenza di Nordic Walking.

Parola di Newton.

A titolo meramente aneddotico, possiamo citare un test che viene praticato molto spesso negli aspiranti agonisti i quali, ritenendosi ormai “arrivati” nell’apprendimento del Nordic Walking, si presentano ad un centro di preparazione agonistica per iniziare la loro carriera di competitors.
Accade tuttavia molto spesso che l’atleta, sottoposto ad un test di velocita sul medesimo tracciato, con e senza bastoni, faccia rilevare il medesimo tempo cronometrico.

Evidentemente, in quel soggetto la capacità del bastone di modificare lo stato di moto dell’atleta è pari a zero e, fisica e meccanica alla mano, quell’atleta non sta ricavando alcuna spinta dal bastone.
Poco importa che magari l’atleta stia obiettivamente facendo una fatica muscolare enorme nel manipolare i bastoni; il principio di conservazione della quantità di moto stabilisce che se la forza risultante agente su un corpo è nulla, allora la quantità di moto resta costante.

In altri termini se la risultante delle forze è nulla allora la quantità di moto iniziale è uguale a quella finale.
Evidentemente, in un caso simile, le forze applicate dall’atleta sono, per quanto concerne intensità, direzione e verso, inefficaci per vincere il principio di conservazione della quantità di moto.
Niente agonismo per l’atleta se prima non frequenterà daccapo almeno un corso base, dove gli venga finalmente insegnata la biomeccanica del moto in maniera adeguata e zero al quoto per la scuola che lo ha preparato fino al punto di fargli credere di essere un “arrivato”, mentre il frutto di tutti i suoi sforzi era pari a zero.

Sta a noi, pertanto, modificare lo stato di quiete o di moto del nostro corpo in maniera vantaggiosa per l’esercizio fisico che ci proponiamo, nello specifico il cammino, quindi sta a noi applicare forze di intensità, direzione e verso tali da fare sì che il teorema del Nordic Walking, cioè di sport nel quale l’azione propulsiva del bastone rende il cammino più veloce, più lungo e più rispettoso della biomeccanica umana, si possa realizzare.

Per fare tutto ciò ci viene in soccorso la biomeccanica umana, che studia come le leggi fisiche della meccanica entrino in rapporto con la sfera biologica dell’uomo.
Una scienza complessa per via della necessità di dovere applicare delle leggi meccaniche su un sistema così complicato e assolutamente variabile quale è l’essere umano.
Una complessità che ha portato talvolta a “licenze poetiche” puntualmente smentite dalla pratica.
Si disse, ad esempio, che la lunghezza dei bastoni non avrebbe permesso il superamento di una certa frequenza di cammino e quindi di una certa velocità (4/6 km/h), perché il tempo di richiamo dell’attrezzo dalla posizione posteriore avrebbe condizionato la possibilità di aumentare ulteriormente il ritmo.
Peccato che oggi gli atleti migliori al mondo marcino abbondantemente oltre gli 11 km/h e, per la verità 4/6 km/h è una velocità che tranquillamente anche le signore più anziane superano già nella prima lezione del corso base.

Rimane il fatto che è la biomeccanica umana la scienza che, opportunamente conosciuta ed applicata, può fare sì che uno sport assolutamente funzionale quale è il Nordic Walking possa essere praticato in maniera adeguata e mirata alle finalità che l’atleta o il praticante si propongono, siano esse la salute, la riabilitazione fisica, il sano divertimento, l’allenamento fisico, la pratica agonistica.

La biomeccanica umana, tuttavia, è una scienza che non può prescindere dalla considerazione del fattore fondamentale di tutta l’equazione: l’individuo.
Così come la medicina non può esimersi dal considerare il paziente in tutto il suo complesso, altrettanto la biomeccanica non può non sforzarsi di applicare leggi apparentemente immutabili, quali quelle fisiche e meccaniche, in maniera personalizzata e adatta al singolo soggetto.
 
Così come il medico non può pensare di lavorare per schemi fissi: tale malattia – tale terapia, altrettanto il Docente di Nordic Walking non può pensare di applicare stesse tecniche di lavoro, stessa tipologia di bastoni, stesso schema motorio ai vari allievi.

E’ quindi indispensabile che il Docente di Nordic Walking sia un fine conoscitore dell’anatomia e dalla fisiologia umana e sappia fare danzare la biomeccanica umana sulla punta delle dita.

L’alternativa, ahimè molto diffusa, è quella di trasformare il Nordic Walking in uno sport estetico, nel quale il punto di arrivo è la replicazione passiva e acritica della tecnica del Sig. A, o del Sig. B, o del Sig. C, che vengono presentati quali modelli perfetti ed invalicabili.

Quale errore…!
Pensiamo a una scuola di tennis nella quale si imponesse a tutti gli allievi di giocare con la stessa tecnica di Federer, mancini compresi, o una scuola di sci dove si imponesse a tutti gli atleti di affrontare una discesa libera con la stessa tecnica e la stessa potenza di Dominik Paris, o una scuola di nuoto dove a tutti agli aspiranti atleti si proponesse esclusivamente il mito di Federica Pellegrini.

Quale errore e che pessimi risultati, nonostante i modelli ai quali ci si riferisce siano degli indubbi campioni.
Federer, Paris e la Pellegrini, come qualunque altro abitante del pianeta Terra, hanno il loro corpo, le loro leve, la loro storia fisica, clinica, psichica, culturale, oltre a reazioni diverse, a diversa capacità di apprendere o dimenticare i movimenti, diverso adattamento dell’organismo all’attività fisica ripetitiva.
Questa, peraltro è la base di ogni teoria dell’allenamento e dell’insegnamento sportivo.

Possiamo sicuramente ammirare campioni di questo calibro e persino farne dei modelli comportamentali, se il loro stile di vita e il loro modo di essere uomini e sportivi ci aggrada, ma pensare di essere degli insegnanti di uno sport semplicemente facendo dei copy & paste di un singolo soggetto in centinaia di allievi di diversa età, configurazione corporea, stato di salute, finalità, non è certo la strada più corretta, né didatticamente né eticamente parlando.

Certo, Federer, Paris e la Pellegrini possono giustificare la superiorità del loro modo di praticare uno sport con centinaia e centinaia di trofei e, a quel punto, diventa molto umano avere voglia di imitarli; lo sanno bene gli sponsor, che fanno affari d’oro con tutti quegli amatori che pensano che, comperando la stessa racchetta di Federer, gli stessi sci di Paris, o lo stesso costume di Federica diventeranno altrettanto bravi.

Fortunatamente nel Nordic Walking di personaggi agonisticamente vincenti come i sopracitati campioni e planetariamente riconosciuti quali “esempi” ce ne sono molto pochi, non abbastanza da non riempire le dita di una mano e, conoscendoli personalmente, si può affermare che siano tutti personaggi miti e schivi, di certo non inclini al business.

E poi uno sportivo vero sa che prima o poi sarà superato, perché arriverà inevitabilmente qualcuno più bravo di lui.
Uno sportivo vero sa che prima o poi si comincerà a vendere la racchetta di chi ha battuto Federer, o gli sci di chi ha battuto Paris, o il costume di chi ha battuto Federica Pellegrini e lo sponsor cambierà orizzonti; forse è per questo che i vari Sig. A, o Sig. B, o Sig. C, non amano molto il confronto agonistico e preferiscono essere rappresentati quali icone ineguagliabili di uno sport, tenendosi gli sponsor belli attaccati.

Noi invece continuiamo a pensare che il Nordic Walking sia uno sport funzionale, non estetico e delle icone non ce ne facciamo granché: noi sudiamo ogni giorno alla ricerca del miglioramento.
Certo, onestamente parlando, dobbiamo ammettere che dal punto di vista del business ne usciamo assolutamente perdenti.