Allineati sulla pista 26
ore 10.00
Il motore adesso è caldo e tiene bene il minimo.
Allungo lo sguardo verso gli ottocento metri di asfalto davanti a me;
una linea tratteggiata indica quella che, se fossi molto bravo, sarebbe
tra poco la mia traiettoria, ma so già che non appena darò piena
potenza l’aereo comincerà ad imbardare sulla sinistra e sarà una bella
lotta tenerlo diritto in quella fase in cui lui, non più completamente
oggetto terrestre e non ancora assolutamente oggetto aereo, sarà preso
dai conflitti di personalità e di andare diritto non ne vorrà sapere.
Per il controllore, appollaiato nella torre di controllo, va tutto
bene: ha già dato il suo consenso al decollo, ma io so che posso
fermarmi quando voglio.
Posso decidere che qualcosa tra i mille strumenti sul cruscotto non va
bene e tornare indietro, posso stimare che il vento sta rinforzando
troppo e tornare indietro, posso semplicemente decidere che non mi va
più di volare e tornare indietro.
Sono libero di decidere quello che voglio: su ogni aereo del mondo la parola del Comandante è sacra, è Vangelo.
Lui decide, lui agisce, lui sbaglia per sé e per gli altri, lui paga per sé e per gli altri.
Ma la voglia di volare è troppa e, quasi senza che me ne renda conto,
la mano ha già spinto a fondo corsa la manetta; la linea tratteggiata
tenta di restare sotto il ruotino di prua mentre spedalo per andare
diritto e guardo l’anemometro.
Ancora una volta il peso si trasforma in portanza e sono libero: libero
di seguire esclusivamente la rotta di uscita dall’aeroporto, libero di
salire solo alle quote concesse, libero di contattare gli enti di
controllo aereo giusti al momento giusto, libero di seguirne
rigidamente le indicazioni, libero di rispettare l’evoluzione della
meteo, libero di mantenere l’aereo strettamente all’interno del suo
inviluppo di volo.
Sono libero di seguire mille regole, volare e vivere: se rimango entro
queste regole sono libero di godermi il volo, certo di non interferire
con quello di altri e altrettanto certo che nessuno interferirà nel mio.
La libertà del volo esiste perché ci sono regole e perché tutti
osservano le regole, ben sapendo che, oltre le regole, c’è sempre il
rischio inutile e c’è sempre la libertà degli altri, che è unica ed
inalienabile come la mia.
Como centro
ore 20.00
Sta diventando buio; la città è silenziosa come lo sanno essere solo le piccole città di provincia quando cala il sole.
Quattro o cinque giovani sono accampati alla meno peggio davanti alla
porta di ciò che di giorno dovrebbe essere una banca, ma che la sera si
trasforma in un bivacco e in un ammasso confuso di bottiglie,
sporcizia, cartoni e carne umana.
Barcollamenti e schiamazzi denunciano che l’alcool e forse la droga
hanno pervaso le loro vene: le lingue impastate emettono suoni
scarsamente intelligibili e solo una imprecazione tipicamente italica,
che invita alla sodomia, riesce a farmi discernere la loro nazionalità
nel mezzo del popolo della sera, composto da un mosaico di lingue
esotiche.
Forse sono senza lavoro, forse sono immigrati respinti dalla città,
forse hanno una storia pietosa alle loro spalle, ma a vederli così
hanno solo l’aspetto di sbandati che hanno scelto di essere liberi, di
non accettare condizione alcuna da questa società.
Stasera sono liberi di non avere una casa dove dormire, una famiglia
dove tornare, sono liberi di non lavorare, liberi forse di procurarsi
la vita quotidiana tramite espedienti e piccoli reati.
Hanno scelto di essere liberi di fare casino, di essere sporchi e
laceri, a volte violenti. Hanno liberamente deciso che la loro libertà
è unica ed inalienabile, anche quando calpesta quella degli altri,
mentre provocano disturbo, fastidio, a volte paura.
In vista dell’aeroporto
ore 11.15
Ho ridotto i giri del motore, la pista è apparsa in lontananza: è il momento in cui esercito al massimo la mia libertà.
Posso proseguire con la giusta velocità di avvicinamento, meno zero,
più cinque nodi, settare i flaps al momento opportuno, arrotondare la
traiettoria e toccare dolcemente la pista.
Oppure sono libero di violare le regole, rallentare troppo, stallare e
cadere, abbassare i flaps troppo veloce, in modo che siano divelti dal
vento relativo, scendere troppo basso, tranciare i fili dell’alta
tensione, toccare prima della pista e trasformare l’aereo e me stesso
in una palla di fuoco.
Sono libero di morire come voglio, lasciando ai miei eredi
seimilacinquecento euro di franchigia da pagare, per avere trasformato
uno splendido aereo in un rottame.
Al resto penserà l’assicurazione.
Liberamente scelgo la costrizione delle regole e l’atterraggio viene una piuma, come mille altre volte prima.
Como centro
ore 22.30
I ragazzi ubriachi adesso sono silenziosi nei loro sacchi a pelo
bisunti e sdruciti, resi incoscienti dalla chimica del loro sangue che,
liberamente hanno scelto di alterare.
Anche nel sonno vivono la loro libertà: quella di lasciare che l’alcool
infiltri i tessuti del loro fegato, si insinui nei meandri del loro
cervello, mini intimamente la salute di un corpo altrimenti giovane e
prestante.
Hanno liberamente scelto di essere emarginati e di odiare questa
società fatta di regole; liberamente hanno deciso che una regola va
violata per il solo fatto che è una regola e dietro una regola,
qualunque essa sia, non può esserci libertà.
Hanno scelto l’anarchia, non quella di Bakunin, che combatteva
“l'ineguaglianza di fatto”, ma l’anarchia personale, basata sulla
volontà di essere “ineguali di fatto” per manifestare la loro assoluta
contrarietà nei confronti del mondo, anche quando essere contrari al
mondo vuole dire essere contro la propria dignità, la propria salute,
il proprio futuro.
Passo di fianco in silenzio; trattengo il respiro per non inalare i
miasmi che emanano da quei corpi alcolizzati e penso all’enorme spreco
di risorse racchiuso in quei sacchi a pelo.
Un enorme spreco al quale poche e semplici regole di vita potrebbero probabilmente dare una soluzione.
Ogni giorno della vita
ogni momento
Per essere libero di volare, libero di atterrare, libero di
sopravvivere, ogni giorno mi applico nello studio delle regole: le
faccio mie, le compenetro nella mia mente e nella mia mentalità, cerco
di carpirne l’essenza, immaginando perché qualcuno prima di me sentì la
necessità di sancire proprio quella particolare norma.
Assimilo manuali e regolamenti come il nettare di una preziosa eredità
lasciata da chi, prima di me, percorse i miei stessi passi, commise
errori o ebbe incarico di analizzare quelli degli altri e decise che
simili errori non dovevano mai più essere pagati con buchi per terra e
croci nei campisanti.
Nello stesso momento c’è chi sancisce la propria libertà di vivere come
meglio gli aggrada, guardando il fondo di un bicchiere, lanciando uno
schiamazzo o un rumore corporale più elevato di quelli del resto del
branco, insultando il mondo e lasciandosi insultare a propria volta,
rifiutando ed aborrendo l’esperienza di chi venne prima di lui.
Tutti quanti ci sentiamo liberi, io con le mie regole, altri con la
loro sregolatezza; tutti abbiamo il diritto di vivere, dandoci
possibilmente il meno fastidio possibile.
Continuo a preferire il mio modo di pensare e di agire: migliaia di ore
di volo e non so “quantimila” atterraggi mi confermano che è stato bene
così, anche perché più di una volta ho dovuto seguire il funerale di
chi le regole se le era fatte da solo.
Chi mi ha amato od odiato, temuto o compatito, chi mi ha teso una mano
o mi ha voltato le spalle, lo ha fatto perché ero io, una persona con
un nome e un cognome e non un corpo contenuto in stracci bisunti che si
deve amare od odiare per ideale o ideologia.
Sono stato me stesso nel bene e nel male e, quando ho sbagliato, non ho
chiesto a nessuno di pagare per me o di assumersi colpe presunte, non
la società, non la politica, non le religioni, non chissà cos’altro.
Sono stato il Comandante della mia vita: io ho deciso, io ho agito, io
ho sbagliato, io ho pagato e continuerò a farlo; fino a qua sono
arrivato, a Dio piacendo e, se mi volto indietro, vedo di avere vissuto
e che rifarei tutto.
Quasi tutto.
Vi auguro altrettanto bene, ragazzi del branco.
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