Quand’ul Bisbin mett ul capell,
sia che’l pioov, sia che’l fa bell,
too su l’umbrel.
Quand’ul Legnun g’a’ su ul capell
lasa la ranza e too ul restell.
I nostri nonni dovevano saperla lunga sui capricci del
tempo...
Senza bisogno di satelliti artificiali o di previsioni
elaborate al computer, avevano capito che semplicemente
osservando forma, colore e dimensione delle nuvole era
possibile prevedere l'evoluzione meteo e comportarsi di
conseguenza.
Ecco allora che la comparsa di un manto nuvoloso sulle
cime dei monti li induceva a munirsi di ombrello mentre
andavano alla Messa, per una volta tanto col vestito
buono, o ad interrompere lo sfalcio dell'erba per riporre
al sicuro il foraggio gia’ tagliato prima
dell'arrivo del temporale.
Un po’ guardandole dal di sotto, un po’
volandoci in mezzo, anch’io ho imparato che le
nuvole hanno un loro modo di fare e un loro carattere e
che, ascoltandole, si possono prevenire molti guai.
Le piu imponenti nuvole delle nostre zone sono i cumuli (cumulus),
nelle diverse sottospecie; prendono origine dai movimenti
termoconvettivi dell’atmosfera, o si generano quando
un fronte freddo si incunea come un ariete sotto masse
d’aria piu’ calde, sollevandole senza troppi
complimenti.
Il cumulo nasce come un grazioso batuffolo di ovatta,
definito cumulus humilis, ma non fidatevi, non
e’ umile per nulla.
Humilis sta solo per piccolo, ma molto presto il
simpatico fiocco di bambagia comincera’ ad
ingurgitare acqua da ogni lato possibile, crescendo in
altezza e in dimensione, trasformandosi in un cumulus
mediocris e poi in un cumulus congestus,
per esitare nel cumulus nimbus, quelle grandi
nubi a forma di cavolfiore che dalle nostre parti vengono
definite “nuvole del bel tempo” o “nuvole
di caldo”.
I cumulonembi sono grassi e dispettosi; a volte
transitano pian piano sopra la nostra testa senza mollare
neppure una goccia, altre volte si incancreniscono in una
valle o contro il fianco di una montagna e si sgravano
senza ritegno delle decine e decine di tonnellate
d’acqua che contengono.
Le nubi sono infatti composte da minutissime gocce
d’acqua o cristalli di ghiaccio e non da vapore
acqueo, come comunemente si pensa; il vapore acqueo,
invece, e’ invisibile.
Fino a che il vento tira verso il cumulo si puo’
stare tranquilli: l’ingordo sta ancora fagocitando
acqua per gonfiarsi vieppiu’ verso il cielo, anche
oltre i seimila metri, ma se il vento gira e arriva
dall’altra direzione, fate attenzione.
Il vecchio pancione e’ saturo e sta solo cercando il
momento piu’ opportuno per rovesciarvi addosso il
proprio contenuto, in un concerto di tuoni e fulmini.
Sazio come non mai non ce la fa piu’ neppure a
sostenere il proprio peso: il suo apice si incurva a dare
forma di incudine alla parte alta della nube e poco dopo
le cataratte del cielo si spalancano.
I cumulonembi sono macchine termoconvettive micidiali,
sature di energia in grado di polverizzare chiunque
osasse avventurarsi al loro interno.
Sono peggio delle sirene: fuori bianchi, leggiadri ed
invitanti come la panna montata di cui sembrano composti,
dentro neri come la pece e percorsi da turbinanti
correnti ascendenti e discendenti.
Persino i grandi aerei di linea hanno imparato a
diffidare di loro e non si preoccupano di dovere
allungare le loro rotte, pur di girare alla larga dalle
formazioni cumuliformi; peraltro, l’estate appena
trascorsa ci ha insegnato fin troppo bene quale energia
sia racchiusa in questi corpi nuvolosi e quanti guai
possano verificarsi una volta che essa si scateni al
suolo.
Vi sono poi i cirri (cirrus), piccole e graziose
pennellate di cristalli di ghiaccio tracciate verso i
settemila metri sulla tela di un cielo color cobalto.
I cirri sono le top models delle nubi e sanno di esserlo;
leggiadri e civettuoli si lasciano ammirare e, come
capita spesso con chi fa sfoggio troppo evidente della
propria bellezza, celano una fregatura.
Nonostante l’aspetto quasi etereo i cirri sono
indicativi dell’arrivo di un fronte caldo e
depressionario; si formano infatti quando, contrariamente
a cio’ che avviene con l’arrivo di un fronte
freddo, l’aria si solleva lentamente, scivolando su
quella piu’ fredda gia’ presente sul posto.
Pascendosi del caldo e dell’umidita’, i cirri
perdono presto le loro sinuose forme e si trasformano in
cirrocumuli, dei quali il noto proverbio "cielo a
pecorelle acqua a catinelle", invita a diffidare.
Le pecorelle si raggruppano poi in un gregge compatto per
formare cirrostrati e strati.
Strato deriva dal latino stratus, participio passato del
verbo sternere, che significa stendere, spianare ed
e’ un vero tappeto grigio quello che queste nuvole
stendono nel cielo.
In una citta’ come Como, non a caso definita poco
graziosamente il lavandino d’Italia, perche’ la
pioggia e’ di casa, (per non citare denominazioni
meno rispettose e piu’ goliardiche), gli strati e
gli stratocumuli sono una presenza fin troppo costante.
Sonnacchiosi e forse un po’ tristi e depressi stanno
li’ fermi, scaricando con poca convinzione il loro
patrimonio d’acqua; nulla a che vedere con
l’energico sciacquone che ci rifilano i cumulonembi.
Sono le nubi delle infinite pioggerelline di novembre o
di quelle primavere durante le quali il ritorno del sole
sembra un’utopia.
Il cielo grigio e statico offerto da strati e
stratocumuli e’ uno spettacolo monotono, ma forse
e’ solo colpa nostra, che vediamo questo tappeto
dalla parte sbagliata.
Basta osservare il tutto dal di sopra per trovarsi di
fronte a uno scenario mozzafiato: pochi minuti di salita,
alcuni attimi di turbolenza e di visibilita’
prossima allo zero mentre si buca la coltre ovattata ed
ecco apparire un mare di nubi bianchissime e luminose, a
volte piatte come una tavola, a volte pervase da onde,
canyon e pinnacoli che si susseguono fino
all’orizzonte, riflettendo la luce del sole e
risaltando candide sul cielo blu scuro.
Non avete visto nulla di veramente bello se, almeno una
volta, non siete riusciti a vedere degli stratocumuli dal
di sopra; d’altra parte sono pur sempre i figli,
seppure degeneri, delle top models del cielo, ricordate?
I nembi (nimbus) sono la flangia armata delle
nuvole; sia che si aggreghino in cumulonembi o in
nembostrati, sono neri come il loro umore e le
precipitazioni a cui danno origine, pioggia o neve, sono
intense e continue; e’ gente irascibile, inutile
discuterci insieme.
Non c’e’ altro da fare: bisogna lasciarli
sfogare e basta e, talvolta, ci vuole tanta pazienza
prima che si diano una calmata.
Non si vedono cosi’ di frequente come cumuli e
strati, ma quando ci sono si fanno notare eccome; quando
il cielo si fa nero e dovete accendere le luci
dell’auto in pieno giorno, l’armata dei nembi
e’ in azione.
Un discorso a parte meritano le nubi lenticolari: quando
un flusso d’aria, impattando contro le pendici di
una montagna viene spinto piu’ in alto della quota
che gli competerebbe per pressione e temperatura, ricade
poi dall’altra parte e si assesta alla giusta
altezza dopo una serie di oscillazioni definite onde.
Capita cosi’ che quando ci si trova sottovento
rispetto al versante esposto alla corrente d’aria,
nelle nostre zone quando spira il favonio da nord, al di
sotto delle cuspidi delle onde si formino nubi dalla
forma di lente, dette appunto lenticolari.
Sono formazioni effimere come bolle di sapone, che si
gonfiano, si sgonfiano e si rinnovano con l’andare
dell’onda; sono le perle del cielo, fresche ed
intemperanti come ragazzine.
I piloti di aliante le adorano sapendo che, in cambio di
qualche robusta scrollata, troveranno li’ sotto aria
che sale e che puo’ portare i loro velivoli a quote
da record.
Come ogni gemma preziosa, tuttavia, queste nubi devono
essere trattate con cura e solo da mani sapienti; ci
vuole poco perche’ un aliantista inesperto si lasci
trascinare in assetti ingestibili dalle gioiose ma
turbolente lenticolari, col rischio di fare ritorno a
casa scosso nel corpo e nell’orgoglio.
Anche se decine di atlanti didattici, redatti da esperti
metereologi, descrivono con dovizia di particolari e
rigore scientifico ogni diverso corpo nuvoloso, la cui
classificazione va ben oltre queste modeste righe, io
continuo a pensare che conoscere le nuvole non solo per
nome, tipo e quota, ma saperne apprezzare abitudini e
carattere sia un buon sistema per prevederne le mosse e
le eventuali bizzarrie.
Questo i nostri antenati lo sapevano bene e la loro
sapienza, sotto forma di proverbi e’ giunta sino a
noi.
Non me ne vogliano i fini conoscitori del dialetto
comasco se ho riportato queste massime con una grafia
quanto meno approssimativa; per fare di meglio ci sarebbe
voluto papa’, che della lingua del Lario era cultore
ed estimatore, ma lui e’ volato via da qualche
tempo: dove si trova adesso splende sempre il sole e si
possono guardare gli stratocumuli dal lato giusto.
Io, per farlo, ho ancora bisogno di un aereo…
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