Nuvole del nostro lago

Giorgio Rizzi
Pubblicato su "Como e dintorni" n. 38 - novembre 2006


Quand’ul Bisbin mett ul capell,
sia che’l pioov, sia che’l fa bell,
too su l’umbrel.

Quand’ul Legnun g’a’ su ul capell
lasa la ranza e too ul restell.



I nostri nonni dovevano saperla lunga sui capricci del tempo...
Senza bisogno di satelliti artificiali o di previsioni elaborate al computer, avevano capito che semplicemente osservando forma, colore e dimensione delle nuvole era possibile prevedere l'evoluzione meteo e comportarsi di conseguenza.
Ecco allora che la comparsa di un manto nuvoloso sulle cime dei monti li induceva a munirsi di ombrello mentre andavano alla Messa, per una volta tanto col vestito buono, o ad interrompere lo sfalcio dell'erba per riporre al sicuro il foraggio gia’ tagliato prima dell'arrivo del temporale.
Un po’ guardandole dal di sotto, un po’ volandoci in mezzo, anch’io ho imparato che le nuvole hanno un loro modo di fare e un loro carattere e che, ascoltandole, si possono prevenire molti guai.
Le piu imponenti nuvole delle nostre zone sono i cumuli (cumulus), nelle diverse sottospecie; prendono origine dai movimenti termoconvettivi dell’atmosfera, o si generano quando un fronte freddo si incunea come un ariete sotto masse d’aria piu’ calde, sollevandole senza troppi complimenti.
Il cumulo nasce come un grazioso batuffolo di ovatta, definito cumulus humilis, ma non fidatevi, non e’ umile per nulla.
Humilis sta solo per piccolo, ma molto presto il simpatico fiocco di bambagia comincera’ ad ingurgitare acqua da ogni lato possibile, crescendo in altezza e in dimensione, trasformandosi in un cumulus mediocris e poi in un cumulus congestus, per esitare nel cumulus nimbus, quelle grandi nubi a forma di cavolfiore che dalle nostre parti vengono definite “nuvole del bel tempo” o “nuvole di caldo”.
I cumulonembi sono grassi e dispettosi; a volte transitano pian piano sopra la nostra testa senza mollare neppure una goccia, altre volte si incancreniscono in una valle o contro il fianco di una montagna e si sgravano senza ritegno delle decine e decine di tonnellate d’acqua che contengono.
Le nubi sono infatti composte da minutissime gocce d’acqua o cristalli di ghiaccio e non da vapore acqueo, come comunemente si pensa; il vapore acqueo, invece, e’ invisibile.
Fino a che il vento tira verso il cumulo si puo’ stare tranquilli: l’ingordo sta ancora fagocitando acqua per gonfiarsi vieppiu’ verso il cielo, anche oltre i seimila metri, ma se il vento gira e arriva dall’altra direzione, fate attenzione.
Il vecchio pancione e’ saturo e sta solo cercando il momento piu’ opportuno per rovesciarvi addosso il proprio contenuto, in un concerto di tuoni e fulmini.
Sazio come non mai non ce la fa piu’ neppure a sostenere il proprio peso: il suo apice si incurva a dare forma di incudine alla parte alta della nube e poco dopo le cataratte del cielo si spalancano.
I cumulonembi sono macchine termoconvettive micidiali, sature di energia in grado di polverizzare chiunque osasse avventurarsi al loro interno.
Sono peggio delle sirene: fuori bianchi, leggiadri ed invitanti come la panna montata di cui sembrano composti, dentro neri come la pece e percorsi da turbinanti correnti ascendenti e discendenti.
Persino i grandi aerei di linea hanno imparato a diffidare di loro e non si preoccupano di dovere allungare le loro rotte, pur di girare alla larga dalle formazioni cumuliformi; peraltro, l’estate appena trascorsa ci ha insegnato fin troppo bene quale energia sia racchiusa in questi corpi nuvolosi e quanti guai possano verificarsi una volta che essa si scateni al suolo.
Vi sono poi i cirri (cirrus), piccole e graziose pennellate di cristalli di ghiaccio tracciate verso i settemila metri sulla tela di un cielo color cobalto.
I cirri sono le top models delle nubi e sanno di esserlo; leggiadri e civettuoli si lasciano ammirare e, come capita spesso con chi fa sfoggio troppo evidente della propria bellezza, celano una fregatura.
Nonostante l’aspetto quasi etereo i cirri sono indicativi dell’arrivo di un fronte caldo e depressionario; si formano infatti quando, contrariamente a cio’ che avviene con l’arrivo di un fronte freddo, l’aria si solleva lentamente, scivolando su quella piu’ fredda gia’ presente sul posto.
Pascendosi del caldo e dell’umidita’, i cirri perdono presto le loro sinuose forme e si trasformano in cirrocumuli, dei quali il noto proverbio "cielo a pecorelle acqua a catinelle", invita a diffidare.
Le pecorelle si raggruppano poi in un gregge compatto per formare cirrostrati e strati.
Strato deriva dal latino stratus, participio passato del verbo sternere, che significa stendere, spianare ed e’ un vero tappeto grigio quello che queste nuvole stendono nel cielo.
In una citta’ come Como, non a caso definita poco graziosamente il lavandino d’Italia, perche’ la pioggia e’ di casa, (per non citare denominazioni meno rispettose e piu’ goliardiche), gli strati e gli stratocumuli sono una presenza fin troppo costante.
Sonnacchiosi e forse un po’ tristi e depressi stanno li’ fermi, scaricando con poca convinzione il loro patrimonio d’acqua; nulla a che vedere con l’energico sciacquone che ci rifilano i cumulonembi.
Sono le nubi delle infinite pioggerelline di novembre o di quelle primavere durante le quali il ritorno del sole sembra un’utopia.
Il cielo grigio e statico offerto da strati e stratocumuli e’ uno spettacolo monotono, ma forse e’ solo colpa nostra, che vediamo questo tappeto dalla parte sbagliata.
Basta osservare il tutto dal di sopra per trovarsi di fronte a uno scenario mozzafiato: pochi minuti di salita, alcuni attimi di turbolenza e di visibilita’ prossima allo zero mentre si buca la coltre ovattata ed ecco apparire un mare di nubi bianchissime e luminose, a volte piatte come una tavola, a volte pervase da onde, canyon e pinnacoli che si susseguono fino all’orizzonte, riflettendo la luce del sole e risaltando candide sul cielo blu scuro.
Non avete visto nulla di veramente bello se, almeno una volta, non siete riusciti a vedere degli stratocumuli dal di sopra; d’altra parte sono pur sempre i figli, seppure degeneri, delle top models del cielo, ricordate?
I nembi (nimbus) sono la flangia armata delle nuvole; sia che si aggreghino in cumulonembi o in nembostrati, sono neri come il loro umore e le precipitazioni a cui danno origine, pioggia o neve, sono intense e continue; e’ gente irascibile, inutile discuterci insieme.
Non c’e’ altro da fare: bisogna lasciarli sfogare e basta e, talvolta, ci vuole tanta pazienza prima che si diano una calmata.
Non si vedono cosi’ di frequente come cumuli e strati, ma quando ci sono si fanno notare eccome; quando il cielo si fa nero e dovete accendere le luci dell’auto in pieno giorno, l’armata dei nembi e’ in azione.
Un discorso a parte meritano le nubi lenticolari: quando un flusso d’aria, impattando contro le pendici di una montagna viene spinto piu’ in alto della quota che gli competerebbe per pressione e temperatura, ricade poi dall’altra parte e si assesta alla giusta altezza dopo una serie di oscillazioni definite onde.
Capita cosi’ che quando ci si trova sottovento rispetto al versante esposto alla corrente d’aria, nelle nostre zone quando spira il favonio da nord, al di sotto delle cuspidi delle onde si formino nubi dalla forma di lente, dette appunto lenticolari.
Sono formazioni effimere come bolle di sapone, che si gonfiano, si sgonfiano e si rinnovano con l’andare dell’onda; sono le perle del cielo, fresche ed intemperanti come ragazzine.
I piloti di aliante le adorano sapendo che, in cambio di qualche robusta scrollata, troveranno li’ sotto aria che sale e che puo’ portare i loro velivoli a quote da record.
Come ogni gemma preziosa, tuttavia, queste nubi devono essere trattate con cura e solo da mani sapienti; ci vuole poco perche’ un aliantista inesperto si lasci trascinare in assetti ingestibili dalle gioiose ma turbolente lenticolari, col rischio di fare ritorno a casa scosso nel corpo e nell’orgoglio.
Anche se decine di atlanti didattici, redatti da esperti metereologi, descrivono con dovizia di particolari e rigore scientifico ogni diverso corpo nuvoloso, la cui classificazione va ben oltre queste modeste righe, io continuo a pensare che conoscere le nuvole non solo per nome, tipo e quota, ma saperne apprezzare abitudini e carattere sia un buon sistema per prevederne le mosse e le eventuali bizzarrie.
Questo i nostri antenati lo sapevano bene e la loro sapienza, sotto forma di proverbi e’ giunta sino a noi.
Non me ne vogliano i fini conoscitori del dialetto comasco se ho riportato queste massime con una grafia quanto meno approssimativa; per fare di meglio ci sarebbe voluto papa’, che della lingua del Lario era cultore ed estimatore, ma lui e’ volato via da qualche tempo: dove si trova adesso splende sempre il sole e si possono guardare gli stratocumuli dal lato giusto.
Io, per farlo, ho ancora bisogno di un aereo…