Libertà di parola

Giorgio Rizzi
Pubblicato su "Como e dintorni" n. 87 - giugno 2011




La nostra società ha indubbiamente compiuto grandi progressi in campo di applicazione dei diritti umani; senza scomodare le memorie del ventennio, basta infatti guardare indietro di pochi lustri per renderci conto di come tanti atteggiamenti siano oggi profondamente cambiati e altrettanti diritti siano maggiormente garantiti, senza che ci sia neppure stato bisogno di aggiornare la Costituzione della Repubblica.
Sono tante le piccole cose che testimoniano una visione più libera e tollerante del vivere comune: i giovani, per esempio, sono oggi molto più liberi di profferire parola di quanto non lo fossero pochi anni fa, quando un sonoro sberlone chiudeva la bocca al bimbo che cercasse di dire la sua, magari in maniera un po’ troppo decisa o senza averne prima ottenuto il permesso.
Altrettanto si può dire sulla possibilità di esprimersi tramite il vestiario: negli anni settanta portare la camicia a fiori era prerogativa di pochi “scapestrati” e il massimo della concessione alla moda del tempo era rappresentata dai jeans a zampa d’elefante; oggi sono invece tanti i ragazzini che si recano a scuola agghindati secondo i trend più attuali, trascinandosi appresso un trolley, che ultimamente “tira” molto più dello zainetto e della ormai vetusta cartella.
Questo è solo un piccolo, ma quotidiano esempio dell’evoluzione in chiave liberale di una generazione che, solo qualche decennio fa, nonostante non dovesse più indossare la divisa da Balilla, sarebbe stata zittita nelle parole e nelle scelte personali con uno sbrigativo “taci tu che sei piccolo”.
Viviamo in una società nella quale esistono ed operano numerose istituzioni, la cui finalità è quella di garantire l’applicazione ed il rispetto dei diritti delle più svariate categorie di persone.
Le associazioni di tutela nascono come funghi, a difesa dei cittadini, dei consumatori, dei giovani, degli anziani, degli ammalati, persino degli animali; non manca neppure chi tutela il diritto di chi vuole farla finita e levare le tende da questo pianeta senza accanirsi a prolungare un’esistenza ormai condannata.
Eppure, in questo bailamme di paladini del diritto, non passa giorno in cui non si assista a violazioni della libertà di parola; di primo acchito un concetto di simile gravità fa volare la mente verso i paesi oppressi da tutti i regimi e tutte le dittature che ancora oggi affliggono il mondo ma, se guardiamo bene nel nostro vissuto quotidiano, possiamo scoprire come permettersi di parlare e di manifestare le proprie idee, i propri sentimenti, magari i propri malumori, non sia una libertà così consolidata neppure nella nostra democraticissima nazione.
Giusto per fare un esempio, non è di molto tempo fa la scena di un’anziana signora che si permise di redarguire dei ragazzotti che a tarda sera vociavano oltre ogni limite proprio sotto le sue finestre, ma si sentì zittire con una serie infinita di doppie zeta, un non troppo velato riferimento alla professione più antica del mondo che, secondo quei teppistelli, la vecchia signora avrebbe dovuto esercitare nonostante l’incedere dell’età, nonché un deciso invito alla sodomia, di quelli che oggi vanno di moda per inscenare giornate di protesta alternativa da parte di un noto comico politicamente schierato.
La povera signora rimase con un palmo di naso davanti ad una così maleducata ed irrispettosa reazione e non riuscì più a spiccicare neppure una sillaba a difesa del suo sacrosanto diritto di lamentarsi e di dormire in pace.
Nessuno pensò tuttavia di prendere provvedimenti, né di allontanare quel crocchio di bellimbusti perché, la città è piccola e la gente mormora, tra di loro si mescolava anche qualche rampollo proveniente da famiglie “bene”, che era meglio non importunare troppo.
Capitò così che la libertà di parola, anzi di turpiloquio di alcuni giovani, calpestò impunemente la libertà di parola della povera signora, la quale poche settimane dopo risolse elegantemente il problema alla radice, partendo per l’estremo viaggio, in silenzio e senza dare fastidio a nessuno, così come era vissuta.
Di situazioni come queste se ne potrebbero raccontare chissà quante e, probabilmente, ognuno potrebbe aggiungere la propria piccola ma significativa esperienza.
Che dire ad esempio del capo ufficio tracotante, che ogni giorno calpesta elementari diritti di buona educazione, di rispetto e di civile coabitazione con i propri sottoposti?
Certo, almeno a parole quei poveri meschini avrebbero sindacati, associazioni di categoria, leggi sul mobbing e, qua e là, persino degli psicologi aziendali che dovrebbero contribuire a risolvere il problema; peccato che, in questa nazione dai singolari equilibri, capiti talvolta che un capo ufficio tracotante possa essere notoriamente un raccomandato di ferro, ma di quelli raccomandati da qualcuno così in alto dal dissuadere persino i superiori del capo ufficio rompiscatole dal fare il proprio onesto dovere e cercare di raffazzonare un clima di lavoro almeno decente.
Ecco come la libertà di parola di alcuni poveri lavoratori, così celebrati nell’articolo uno della nostra Costituzione, può andare a farsi benedire in favore della libertà di sproloquio di qualcun altro, il cui unico merito è solo di quello di avere le spalle o altre parti anatomiche adeguatamente parate.
Anche questa volta siamo di fronte a un evento tutt’altro che raro, almeno considerando le lamentele quotidiane che si possono raccogliere un po’ dovunque, nonché gli affari d’oro che molte aziende farmaceutiche fanno sulle spalle di onesti lavoratori, che ogni notte necessitano di un aiutino per riuscire a prendere sonno, o magari alla mattina hanno bisogno di una spintarella per  recarsi su un posto di lavoro dal quale molto volentieri prenderebbero le distanze.
Tuttavia, almeno in questi casi, i poveri lavoratori tribolati una speranza la possono coltivare; non certo quella di potere un giorno esercitare il loro diritto di mugugno, il Signore non voglia, ma quella che, essendo il loro kapo un raccomandato di ferro, prima o poi un salomonico “promoveatur ut amoveatur” intervenga a cucire un gallone di più sulle sue maniche e, di conseguenza, a far sì che la quotidiana tortura si sposti altrove a recar danno.
Ci vantiamo di vivere in una nazione tra le più democratiche al mondo e fin troppo spesso gli italiani, interrogati in merito, rispondono che una delle cose che maggiormente apprezzano del nostro paese è il grande clima di diritto e di libertà che vi regna; esempi come quelli più sopra testimoniano tuttavia che anche una società civile come la nostra ha ancora molto da migliorarsi.
La speranza è che nelle scuole continuino ancora oggi ad insegnare un concetto facile, ma basilare, che fu stampato a caratteri di fuoco nella mente di chi scrive durante il primo giorno di prima elementare, quando tutti avevamo ancora il grembiulino nero, il fiocco azzurro al collo e la schiscetta con la merendina: “la nostra libertà finisce dove comincia quella degli altri”.
Se avere tanta libertà e tanti diritti significa potere alzare la voce e sovrastare quella degli altri senza fare neppure la figura del maleducato, significa potere sfogare sui sottoposti le proprie miserie personali certi che, anche se il fatto costituisce reato, la sgameremo impuni perché abbiamo il didietro parato, allora non ci siamo proprio.
Se significa che possiamo mandare a quel paese il prossimo solo perché non ci fa comodo rispettare i suoi diritti, insultarlo perché abbiamo le spalle coperte, farlo tacere perché non la pensa come noi, allora non ci siamo proprio: non è questa la libertà che uno stato deve garantire ai propri cittadini.
Come sempre possiamo attivarci tutti in prima persona per migliorare le cose, perché non è solo abbattendo i tiranni che si cambia il mondo, ma anche cominciando a rispettare il prossimo, persino se è un avversario o un nostro sottoposto in ufficio, qualifica che non necessariamente sta ad indicare un essere inferiore, perdigiorno ed ignorante.
In fondo noi ci aspettiamo sempre grandi cose dai governanti, dai giuristi, dalla magistratura, ma la realtà di tutti i giorni, che poi è la vera vita, è infinitamente più a portata di mano.
Come diceva sempre il mio Papà, anima semplice: “chissà perché oggi deve essere tutto stabilito per legge; ai miei tempi bastava l’educazione…”