Lo sport influenza in grande misura gli atteggiamenti
domenicali di milioni di italiani, nonche' i discorsi del
lunedi' mattina in buona parte degli uffici, ma non e' di
questo tipo di influenza che vogliamo parlare, bensi' di
quella malattia che, almeno una volta l’anno, fa
piombare nel caos scuole e mondo del lavoro, bloccando a
letto migliaia e migliaia di persone con febbre, dolori
articolari e problemi a carico dell’apparato
respiratorio.
Non disponendo a tutt’oggi di alcuna terapia in
grado di curare efficacemente l’infezione da virus
influenzale, e dovendosi limitare all’uso di farmaci
sintomatici, da tempo si cerca di sensibilizzare
l’opinione pubblica affinche' venga praticata la
vaccino-profilassi, unico vero strumento in grado di
proteggere contro l’influenza.
L’influenza rappresenta in effetti una patologia da
non prendere alla leggera, sia dal punto di vista
strettamente medico-sanitario, sia per quanto riguarda
gli aspetti socio-economici ad essi legati. Un recente
studio stima che negli Stati Uniti si verifichino
annualmente dai 17 ai 50 milioni di casi di malattia, con
314.000 ricoveri ospedalieri e circa 20.000 decessi (1)
per le complicanze che colpiscono in modo particolare
anziani e soggetti a rischio per concomitanti patologie
respiratorie, cardiovascolari ecc.
In definitiva e' possibile imputare all’influenza un
numero di decessi superiore a quello determinato da
qualsiasi altra patologia prevenibile con un vaccino. (2)
Oltre agli anziani, nei quali per motivi anagrafici si
assiste ad un fisiologico decadimento delle funzioni
immunitarie, i bambini e altri soggetti presentano un
elevato rischio di complicanze, di ospedalizzazione e di
morte.
I costi correlati all’influenza sono decisamente
elevati, sia per quanto riguarda l’assistenza medica
e ospedaliera, sia per cio' che attiene alle giornate
lavorative perdute.
Nella fascia di eta' compresa tra i 18 e i 64 anni,
all’interno della quale si trova la maggior parte
della forza lavoro, sino ad un 25% (2) dei soggetti
contrae ogni anno l’influenza, con assenze dal
lavoro variabili da 0,8 a 4 giorni di lavoro: e’
stato calcolato che solamente negli Stati Uniti vanno
perduti circa 70.000.000 di giorni lavorativi
l’anno. (2)
E' chiaro che una adeguata profilassi operata mediante il
vaccino puo' radicalmente cambiare i dati sopra
riportati, ed a tal proposito il nostro Ministero della
Salute raccomanda fortemente la vaccinazione in tutte
quelle categorie di soggetti maggiormente esposti a
rischio di complicanze (p.e. soggetti di eta' superiore
ai 64 anni, portatori di patologie respiratorie,
cardiache, patologie metaboliche croniche, etc.) oppure a
maggior rischio di contagio (p.e. soggetti
immunodepressi, operatori sanitari, etc.)
E' stato ampiamente dimostrato che la vaccinazione riduce
l’impatto della malattia negli adulti sani del
70/90%, le visite mediche del 34/44%, l’uso di
antibiotici del 25%(2) con un risparmio medio per ogni
soggetto vaccinato variabile tra i 123,69 e i 108,34
euro, solo per quanto riguarda le spese mediche, secondo
una simulazione relativa alla regione Liguria. (1)
In piu' va considerato che nei pazienti vaccinati si nota
una riduzione delle assenze dal lavoro del 32/45%(2) con
i conseguenti vantaggi sul piano della produttivita'
individuale.
Fatta questa premessa, e' importante rilevare che esiste
una categoria di lavoratori del tutto particolare, che
risulta particolarmente esposta al rischio di contagio
influenzale e la cui assenza dal lavoro puo'
ripercuotersi in maniera determinante sui risultati e sul
fatturato della “azienda” nella quale opera: ci
riferiamo ovviamente agli sportivi professionisti.
Naturalmente l’assenza di uno sportivo puo' avere
effetti pesanti all’interno di una squadra e questi
effetti sono proporzionalmente piu' evidenti in funzione
della notorieta' del giocatore e del suo ruolo.
Una squadra che si presentasse ad una competizione priva
di un uomo chiave, non solo vedrebbe le potenzialita' di
vittoria decisamente compromesse, ma rischierebbe di
annoverare un numero decisamente ridotto di spettatori,
con un notevole danno economico.
Da un punto di vista medico bisogna infatti considerare
che l’attivita' agonistica ai massimi livelli
professionali comporta un continuo stress, sia di ordine
emotivo che muscolare.
Nella fase post esercizio fisico si nota come il sistema
immunitario registri un calo generalizzato di tutte le
sue attivita'; questo fenomeno viene definito come
“open window”. (3)
Questo fenomeno viene rilevato anche in altre condizioni
di stress fisico, quali la chirurgia, le ustioni, i
traumi, l’infarto miocardico acuto e le infezioni
severe (3).
E' interessante notare come, sia l’esercizio fisico
di lieve intensita' o durata, sia esercizi piu' intensi e
prolungati sono in grado di mobilizzare i linfociti nel
sangue, ma solo sforzi prolungati e/o di elevata
intensita' producono immunosoppressione nella fase post
esercizio. (3)
Per esercizio prolungato si intende quello di durata
superiore all’ora e per esercizio di elevata
intensita' quello superiore al 70% VO2 max. (Massima
Capacita' Aerobica). (3)
Anche lo stress psichico gioca un ruolo importante nella
riduzione delle funzioni immunitarie; e' noto che il
sistema immunitario risponde allo stress aumentando il
rilascio da parte dei leucociti di citochine e di
interleuchine 1,2 e 6, che coordinano la risposta
immunitaria e stimolano la sintesi ed il rilascio di
Corticotropin-Releasing Factor da parte
dell’ipotalamo e di noradrenalina dal Locus
Coeruleus. (4)
Si e' osservato come una elevata concentrazione ematica
di catecolamine, adrenalina e noradrenalina corrisponda
alle fasi di maggiore mobilizzazione linfocitaria, mentre
l’ipercortisolemia successiva e la concentrazione di
interleuchine 1,2 e 6 sia corrispondente alla riduzione
della concentrazione linfocitaria. (4)
Dal punto di vista prettamente clinico, il rischio di
infezioni delle vie aeree superiori varia in funzione
dell’attivita' fisica e risulta minimo in
concomitanza ad attivita' fisica moderata e piu' elevato
nei soggetti che non svolgono attivita' fisica o che, al
contrario sono sottoposti ad attivita' intensa.
Nell’atleta professionista, questo fatto si correla
alla depressione immunitaria post sforzo prolungato,
precedentemente definita come “open window”.
(3)
Appare evidente pertanto che, no-nostante i fisici
invidiabili e uno stile di vita assolutamente salutare, i
calciatori fanno parte della categoria dei soggetti a
rischio per quanto riguarda eventuali complicanze
dell’epidemia influenzale, situazione aggravata
anche da alcuni aspetti particolari della loro attivita',
quale la promiscuita' nello spogliatoio, l’utilizzo
comune delle docce e conseguente possibilita' di
diffusione del virus per via aerosolica e la frequenza
con la quale essi si trovano in ambienti chiusi ed
affollati, come gli studi televisivi o i locali presso i
quali la loro presenza attira un gran numero di persone.
Volutamente sorvoliamo in queste righe sulla possibilita'
che un’ulteriore immunodeficienza possa essere
secondaria all’uso di sostanze farmacologiche non
ammesse, perche' il discorso si farebbe troppo lungo e
decisamente meno piacevole.
Quello che invece vogliamo rimarcare e' che un atleta con
un adeguato livello immunitario e' meno suscettibile agli
episodi infettivi ed in definitiva maggiormente
performante; cosi' come medici di squadra ed allenatori
lavorano sodo per migliorare la struttura muscolo
scheletrica del giocatore e renderlo meno esposto ad
infortuni ed in grado di fornire una migliore
prestazione, altrettanta attenzione deve essere posta per
quanto riguarda le difese organiche.
Affiancato ad un valido programma di allenamento che
eviti carichi di lavoro eccessivi o tempi di recupero
troppo limitati, il vaccino antinfluenzale puo' essere di
grande aiuto nell’attivita' di un calciatore
professionista, per evitargli stop durante la stagione e
consentirgli di svolgere al meglio la sua attivita'
sportiva.
I primi vaccini, risalgono agli anni sessanta, periodo in
cui furono resi disponibili preparati a VIRUS INTERO
INATTIVATO. Si trattava di vaccini capaci di presentare
gli antigeni in modo naturale, assicurando quindi una
risposta immunitaria ottimale. Sfortunatamente
l’elevato contenuto di componenti virali rendevano
questi vaccini alquanto reattogeni, ragion per cui verso
la meta' degli anni ‘90 furono abbandonati per
essere sostituti con i prodotti maggiormente purificati.
La ricerca farmaceutica infatti, puntando ad una maggiore
tollerabilita' sviluppo' i vaccini di tipo split e a
sub-unita': in entrambi i casi vi e' un minor contenuto
di componenti virali capace di garantire una maggior
tollerabilita’ del prodotto, tuttavia la
presentazione degli antigeni risulta essere sub-ottimale
e per tal motivo l’immunogenicita' risulta ridotta.
E' chiaro che una simile soluzione non appariva ottimale
e pertanto la ricerca si rimise al lavoro per trovare una
nuova strada da seguire orientandosi verso lo sviluppo di
nuovi vaccini adiuvati piu' potenti ed ancor meglio
tollerati dei vaccini convenzionali.
A tal proposito la piu' recente acquisizione e'
rappresentata dal vaccino adiuvato virosomale, nel quale
gli agenti virali sono incorporati nel doppio strato
lipidico di liposomi, particelle totalmente
biocompatibili, e quindi riconosciute come
“naturali” dall’organismo del ricevente. I
virosomi si formano per idratazione dei fosfolipidi e
consentono al vaccino di ottenere un effetto immunogenico
superiore grazie all’ottimale presentazione
dell’antigene, pur assicurando la massima
tollerabilita'.
Il vaccino virosomale si distingue per efficacia e
tollerabilita' e consente di ottenere un’adeguata
copertura immunitaria in pazienti di ogni fascia di eta'
e condizione fisica, ivi compresi i bimbi sotto i dodici
anni, gli anziani, i pazienti immunocompromessi o
comunque defedati.
Bibliografia:
1) Gasparini R. et al.
Pharmacoeconomic Issues in Vaccines 2002: 1-9
2) Pregliasco F.
Vaccino antinfluenzale adiuvato virosomale - Ed. Adis
Intl
3) Pedersen B.K.
Summer Course European Academy of Allergology and
Clinical Immunology (EAACI) - Roma 15/09/2000
4) Cannizzaro G. et al.
Il Nuovo Anestesista Rianimatore 1999 - 6
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