L’inverno
se ne va.
E’ stato un inverno di quelli tosti, uno di quelli in cui madre natura
ha fatto il suo dovere fino in fondo, inondandoci di freddo e di neve
come non si vedeva da tanti anni.
Vari proverbi locali confortano la speranza, promettendo dopo una
stagione cosi’ rigida, una primavera adeguata e un’estate placida e
calda; chissa’ che il duemilanove non sia l’anno buono in cui non
dovremo ripetere “non ci sono piu’ le mezze stagioni”…
Tuttavia, al gelo dell’inverno che ci apprestiamo a dimenticare si
sono sovrapposti eventi planetari, che ci proiettano verso la nuova
stagione in una situazione economica sconvolta rispetto a soli
trecentosessantacinque giorni fa.
Eventi che sarebbero apparsi impossibili lo scorso anno, ma che si sono
verificati con subitanea rapidita’; al di la’ delle forzatamente
tranquillizzanti dichiarazioni di politici ed economisti, credo che
appaia evidente a chiunque che la primavera e l’estate duemilanove e
chissa’ quante altre stagioni la’ da venire, non potranno essere
vissute con la stessa serenita’, o comunque con lo stesso potenziale
che aveva caratterizzato gli anni passati.
Di certo la situazione e’ grama, sia per chi ha tanto, sia per chi ha
meno: saremo chiamati a fare dei passi indietro nelle nostre abitudini e
i passi indietro, piccoli o grandi che siano, pesano a chiunque,
indipendentemente dal tenore di vita a cui si e’ abituati.
Per assurdo, solo chi ha poco o nulla non risentira’ di questa
situazione; e’ ovvio che ai tre quarti del genere umano, quelli
composti da coloro che si arrabattano a procurarsi almeno un pasto al
giorno e un tetto sotto cui dormire, poco importa che Wall Street vada
su o giu’, che il barile di petrolio oscilli in maniera paurosa, o che
le Lehman Brothers si siano rivelate una bidonata enorme per chi le ha
acquistate, forse per leggerezza o forse per troppa fiducia in uno dei
mille brokers finanziari che ostinatamente ci sforziamo di considerare
in buona fede, a dispetto di tutto.
In questo mondo, che piano piano ma non troppo, si livella al basso, per
un singolare e anche un po’ beffardo contrappasso della storia dell’umanita’,
siamo noi “ricchi” a subire le bordate della crisi economica e a
dovere affrontare, da qui a chissa’ quando, un nuovo stile di vita che
ci pesera’ addosso.
Chi era povero, tale rimane e, a dispetto di quanto siamo abituati a
pensare, non necessariamente “povero” significa “infelice”;
osservando uno qualunque dei mille report relativi al livello di
felicita’ nel mondo, non si puo’ non riflettere sul perche’ i
nostri stati, ricchi e industrializzati, occupino posti in classifica
molto al di sotto di quanto avremmo immaginato, mentre ai primi posti
figurano talvolta nazioni che, per la loro situazione socio economica,
dovrebbero stare un bel po’ piu’ giu’ di noi, almeno secondo il
nostro metro di valutazione.
Peraltro basta guardarci intorno e considerare i consumi di
psicofarmaci, il numero di violenze sociali, la depressione che dilaga
peggio dell’influenza, gli insonni, gli incavolati cronici, gli
stressati e comunque gli scontenti, per comprendere che questa
societa’ dell’opulenza produce sicuramente molti soggetti tristi e
in soprappeso, ma probabilmente poche persone davvero felici e
soddisfatte.
Le vacche magre sono arrivate: nella nostra citta’ forse saranno
piu’ magre che altrove, schiacciati come siamo dalla crisi del
tessile, da quella dell’edilizia e quindi del mobile, da un turismo
cosi’ cosi’, dal cambio del franco svizzero che in tempi di crisi
raggiunge quote astronomiche, dalla metropoli milanese che catalizza le
ultime possibilita’ di lavoro e, comunque, da un regime di prezzi e di
costi di vita che pongono Como nel novero delle citta’ piu’ care
d’Italia.
Inutile farsi illusioni: chi troppo in alto sale cade sovente
precipitevolissimevolmente e noi comaschi in alto ci siamo saliti
parecchio, come stile di vita e come costi, al punto da meritarci una
tirata di orecchi da parte del grande Karol Wojtyla che,
quando venne a farci visita nel 1996, in Piazza Cavour tuono’ quel
“ricchi, ricchissimi comaschi” che ancora oggi echeggia nelle
orecchie di quanti ebbero la fortuna e l’onore di essere presenti.
Sara’ dura per tanti, forse per tutti, ma possiamo almeno provare a
trasformare tutto in una sfida, in un nuovo modo di essere e di
approcciare la vita.
I “nuovi colori” di questi Giardini di Marzo, ci chiamano ad essere
coraggiosi, disposti a tirare la cinghia per andare avanti ma, allo
stesso tempo, ad essere fiduciosi e possibilmente sereni, per non
giocarci cio’ che la vita ci offre, magari sotto forme meno
luccicanti, ma probabilmente piu’ sincere.
Il grande Mogol, nell’indimenticabile canzone portata al successo da
Battisti, ci ha insegnato che la miseria e’ un evento ricorrente nella
storia dell’uomo e che arrivare al ventisette del mese non sempre e’
possibile e talvolta neanche al ventuno.
Un semplice gelato puo’ essere un lusso che non ci si puo’
permettere, a meno di non vendere i libri di scuola, barattando un bene
prezioso in cambio di un momento di goloso, ma fatuo appagamento.
Neanche a parlarne, in tempi di vacche magre, di vestire alla moda o
quanto meno di indossare abiti nuovi: persino i fiori stampati sulla
stoffa prima o poi saranno appassiti, cioe’ sciupati oltre misura, ma
fino a quel momento l’abito sara’ ancora buono, anche se non ha
sopra una griffe o se e’ stato portato mille volte.
Guai pero’ a perdere il coraggio di vivere: il giovane, inesperto,
scontroso ed introverso protagonista della canzone, nonostante abbia
“in fondo all'anima cieli immensi e immenso amore”, insomma,
nonostante sia innamorato fradicio, perde la grande occasione e lascia
andare l’amata da sola verso il proprio futuro, dopo avere ascoltato
la sua dichiarazione d’amore, ma non avendo a sua volta il coraggio di
rivelarsi.
Proprio non ce la fa a vivere quell’istante, schiacciato dal peso di
un’esistenza non certo opulenta; tuttavia il treno della vita
non passa due volte e colei che poteva divenire una compagna, in un
attimo e’ gia “attrice di ieri”.
Un insieme di squisiti acquarelli che Mogol dipinge con ispirata e
continua maestria e che, nonostante risalgano a diversi decenni fa, sono
quanto mai attuali, perche’ ci spronano a guardare avanti con lo
sguardo fiero e a farci forti del poco che abbiamo.
Potremo essere ricchi o poveri, ma “I Giardini di Marzo”
continueranno a rinnovare il miracolo della vita, mentre la primavera
risvegliera’ nuovi amori nelle giovani donne e non solo in loro.
Poco importa se siete gia’ felicemente accasati, con una splendida
compagna o un meraviglioso uomo al vostro fianco: il risveglio
dell’amore a primavera e’ solo un’allegoria che il grande Autore
ci propone, per dirci di non perdere le occasioni, di guardarci intorno
e di scoprire il bello e il buono che ci circonda.
E’ soprattutto quando tutto va a rotoli che dobbiamo concentrarci
sulle piccole cose di ogni giorno, che rappresentano la nostra vera
ricchezza, che non si perde insieme alle oscillazioni del conto in banca
o del Dow Jones.
Forse questa primavera non avremo il portafogli abbastanza gonfio per la
consueta vacanza pasquale in un cinque stelle o per la crociera alla
moda, per rifarci il guardaroba o per cambiare l’utilitaria col SUV
sognato per anni, ma se sapremo apprezzare altre cose che non si
comperano col denaro, ce la faremo.
Ci sono gia’ passati i nostri nonni nel ventinove, i nostri padri
negli anni settanta; adesso e’ il nostro turno di cambiare i beni
economici con la gioia di un sorriso, con il profumo di un fiore, con la
luce di un tramonto o con la semplice gioiosa consapevolezza che anche
oggi siamo vivi, col nostro fardello di guai e di difficolta’, ma con
lo sguardo fiero e rivolto in avanti, perche’ la nostra vita e’
oggi, e’ qui.
In fondo, visto che si parla di crisi economica e di denaro che viene e
che va, anche la nostra vita e’ come una moneta: ognuno puo’
spenderla come vuole, ma una e una sola volta.
Buona e felice primavera a tutti.
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