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Fabrizio
De Andre’, che lo scorso febbraio avrebbe compiuto settant’anni se
un male balordo non ci avesse portato via troppo presto il suo
sguardo, la sua sigaretta sempre tra le labbra e la sua voce, e’
stato uno splendido narratore dell’universo femminile, senza mezzi
termini, senza giri di parole, senza confini di moralita’,
condizione sociale, realta’ storica. Le
sue note ci parlano di Nina, l’amica di infanzia, di Nancy, la
prostituta suicida, di Fernando che divenne Fernandina e poi Prinçesa,
della moglie di Anselmo che affogo’ nell’alluvione di Genova dopo
avere consumato un tenerissimo adulterio, delle fin troppo note Bocca
di Rosa e Marinella, nonche’ delle presenze senza un nome preciso,
ma non per questo meno intense di “Amore che vieni, amore che
vai”, “Nell'acqua della chiara fontana” e di non so quante altre
strofe struggenti che hanno ribaltato di dentro e di fuori intere
generazioni. Tra
tutte, pero’, spicca una figura di donna alla quale Faber ha
dedicato una lunga serie di liriche, che ne descrivono un aspetto
molto umano e, per questo, un po’ misconosciuto. Attento
come era agli ultimi, agli emarginati, ai diversi, ai sofferenti, a
tutti coloro ai quali la vita aveva giocato qualche tiro mancino, De
Andre’ non avrebbe mai potuto non volgere la sua attenzione verso
una ragazzina di Nazareth che duemila anni fa, in una societa’ che
lapidava senza troppe mezze misure le peccatrici, si trovo’ incinta
al di fuori del matrimonio a quindici, sedici anni, o forse ancor
meno, per amore e per obbedienza. La
storia di Maria la conosciamo tutti, credenti e non credenti; la
letteratura e l’iconografia cristiana descrivono in dettaglio la
vita della Vergine, secondo quanto i sacri testi ci hanno tramandato. Non
e’ questa la vicenda che ci racconta il cantautore genovese: da lui
ci viene la narrazione tenerissima, delicata e mai irrispettosa, anche
se spesso fuori dagli schemi della religione ufficiale, della storia
di una bambina dimenticata per anni in un tempio, “per bisogno o
forse per buon esempio” e poi data in sposa ad un vecchio ormai
stanco. E’
la vicenda di una ragazzina che resta incinta, con nessuno che crede
nella sua innocenza salvo proprio quel vecchio che, letta la
sincerita’ nei suoi occhi, sa mettere da parte i pregiudizi, la
cultura del tempo e forse un po’ di sano orgoglio di marito tradito,
per rinascere a nuova tenerezza di fronte al “mistero che si svela,
quando lievita il ventre”. E’
la Maria donna e soprattutto la Maria madre, quella che De Andre’
celebra con dolcezza e con amore; quella che, angosciata, domanda al
falegname per chi stia costruendo una croce, quella che sul Golgota
condivide con le madri dei ladroni lo strazio della vista del figlio
morente, quella che crolla sotto l’enorme responsabilita’
assegnatale dalla storia e per una volta, una volta sola, si lamenta e
grida “Non fossi stato figlio di Dio, ti avrei ancora per figlio
mio.” Questa
di De Andre’ e’ una madre vera, meno santa di sicuro, ma molto
vera; e’ una madre che, a guardare bene, troviamo anche nei Vangeli:
ancella del Signore, come promesso, ma mamma fino al midollo quando
torna nel tempio a cercare il figlio che si era attardato. Ritrovatolo,
dapprima se ne rallegra, ma poi poco importa se il giovane Gesu’
stava incantando i dottori con la sua sapienza: si e’ allontanato
senza permesso e Maria non gli risparmia un rimprovero, che il Vangelo
di Luca ci riporta in maniera delicata, ma che non e’ difficile
immaginare condito da un’occhiataccia. E
cosa dire delle Nozze di Cana? Il miracolo della mutazione
dell’acqua in vino avvenne in seguito ad una specifica richiesta di
Maria, nonostante le lamentele di suo figlio che, come un figlio
qualunque afflitto da una mamma troppo insistente, sbotta dicendo:
"Che ho da fare con te, o donna? Non e’ ancora giunta la mia
ora". Un
“mamma, non rompere” che chissa’ quante volte si sentono dire
ogni giorno le madri di tutto il mondo. Ma
poco importa: che sia stato scritto o meno, che quello sia o non sia
il momento previsto per manifestare la sua divinita’, alla fine e’
il Figlio a cedere; alla mamma, si sa, non si puo’ dire di no. E,
visto che questo fu in assoluto il primo miracolo di Gesu’ Cristo,
come faceva Maria a conoscerne le facolta’ straordinarie, prima
ancora che lui le avesse mai manifestate? Inutile
perdersi in chissa’ quale analisi dei sacri testi; prima ancora di
udire le dotte parole di un esegeta, qualunque madre risponderebbe
d’acchito: “certe cose una mamma le sa!” Arriva
la Pasqua: chi e’ credente rinnovera’ le proprie devozioni ed
anche le sane abitudini, comprese quelle hanno poco di religioso e
molto piu’ di tradizionale. I
comaschi, assoceranno come sempre il rito del bacio del Crocefisso ad
un giro tra le bancarelle della fiera del Giovedi’ Santo; profumo di
incenso e di frittelle si mescoleranno lungo il viale Varese e gli
inni sacri risuoneranno assieme ai richiami e agli slogan dei
mercanti. Il
Venerdi’ il Crocefisso miracoloso sfilera’ in processione lungo le
vie cittadine, seguito da migliaia di persone; ci saranno anche quelli
che credono un po’ meno, ma la cui devozione viene risvegliata dal
clima pasquale per perdersi di nuovo al lunedi’ dell’angelo e non
manchera’ neppure qualcuno che un bacio al Cristo morente lo dara’
comunque anche se non ci crede perche’, siccome lo fanno tutti, hai
visto mai che possa portare bene? In
questo clima di rinnovato fervore religioso lei, Maria, stara’ un
po’ in disparte; e’ l’apoteosi di suo figlio, il compimento
della sua missione terrena, il punto culminante della nostra Fede
religiosa. In
pochi si ricorderanno di lei in questi giorni ma lei, ne sono certo,
essendo una mamma sapra’ compiacersi del rinnovato amore nei
confronti del figlio suo e sorridera’ comunque. E’
il destino delle madri, e’ il destino di chi deve sapersi fare da
parte per dare spazio al nuovo che avanza, ai figli che crescono, ai
guinzagli che si devono sciogliere, alle scelte non condivise ma che
si devono accettare, al ciclo inarrestabile della vita. “Femmine
un giorno, poi madri per sempre”, diceva De Andre’, riassumendo in
un verso illuminato il destino di chi ha avuto dalla natura o
dall’ente supremo il dono di accogliere la vita nel proprio grembo. Femmine
un giorno, poi madri per sempre; la semplice aritmetica della vita
annichilisce in una madre il conto dei giorni del piacere in confronto
ai giorni del dovere, della responsabilita’, dei pensieri,
dell’angoscia e, alla fine, della solitudine. Arriva
Pasqua: un augurio sincero a tutte le madri, quelle coi figli per bene
e quelle coi figli per male, quelle con figli grandi e piccini, famosi
o anonimi, ricchi o poveri, coi figli che le amano o che le ignorano,
coi figli voluti o solo capitati dopo una notte di tenerezza. La
ragazzina di Nazareth, ne sono certo, ha sempre un occhio di riguardo
per voi, perche’ vi capisce in modo particolare, perche’ c’e’
passata lei per prima, perche’ in fondo anche suo figlio gliene ha
combinate di tutti i colori, le ha dato chissa’ quanti pensieri, le
ha procurato chissa’ quante sofferenze, se ne e’ andato di casa
per seguire la sua missione ed e’ tornato vestendo i panni del
condannato a morte. Chi
piu’ di lei puo’ capire il vostro amore, la vostra indulgenza e il
vostro volere restare madri oltre il limite della lontananza, delle
scelte di vita, degli anni che passano inesorabili e, talvolta,
persino oltre i limiti della logica? La
ragazzina di Nazareth, la mamma di tutte le mamme, vi capisce meglio
di ogni altro; d’altra parte, nel momento in cui persino i piu’
fedeli discepoli rinnegarono suo figlio, sotto la croce rimase lei. La
storia, come vedete, non smette mai di ripetersi… Buona Pasqua a tutte le mamme!
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