Quella che segue è una favoletta da quattro soldi, della
quale feci dono a mia moglie in un Natale di chissà
quanti anni orsono e che mi aiutò ad uscire dal solito
tremendo impasse in cui mi trovo quando devo fare dei
doni.
Donare qualcosa che viene dal cuore o dalla mente è
l’unico modo che concepisco per celebrare le grandi
occasioni; certo, le persone che ruotano nel mio mondo e
che comprendono come uno scritto, una giornata insieme,
uno sguardo dolce, una mano tesa, possano essere il più
bel dono di Natale, sono poche e quasi non bastano a
riempire le dita di una mano, ma sono le poche persone
che danno il sapore alla mia vita.
Per tutti gli altri qualcun’altro provvederà col
solito pacchettino infiocchettato; non è quello il mio
Natale.
Come dite? Oggi non è Natale? E cosa importa!
Dimenticate il Cappellaio matto? Quello che festeggiava
ogni suo non-compleanno, ogni giorno della sua vita?
Solo quando si è nei guai ci si rende conto come sia
bello ogni non-compleanno, ogni non-Natale, solo perché
si è sani, solo perché si è vivi, solo perché
qualcuno ci tiene per mano.
E allora permettetemi di lasciarvi questo dono, scritto
col linguaggio un po’ ingenuo delle favole e
lasciatevi andare per cinque minuti a godervi il vostro
non-Natale.
Di certo qualcuno vi ama, di certo anche oggi vale la
pena di essere vivi, anche pieni di guai, ma con una
fiammella di calore accesa da qualche parte...
Oggi è anche il vostro non-compleanno? Caspita che
combinazione! Buona lettura.
Vivevano
un tempo, in una città lontana nascosta tra le montagne
del nord, due maghi, uno di carne ed ossa, l’altro
tutto di freddo metallo, ma con un cuore caldo così.
Per essere precisi non erano proprio due maghi veri,
erano maghi a metà; infatti essi custodivano il segreto
del più grande incantesimo del mondo, l’incantesimo
del volo, ma ognuno dei due era a conoscenza solo di una
metà della magia.
Così, per potere realizzare questo prodigio, il mago di
metallo accoglieva nel proprio grembo quello di carne ed
ossa; i due si legavano strettamente l’uno
all’altro e, dopo avere pronunciato alcune formule
magiche in una strana lingua, chiamata fonia standard,
compresa solo dai maghi e talvolta neanche da loro,
riuscivano a librarsi nell’aria, cercando di
spingersi ogni volta un po’ più in alto, ogni volta
un po’ più lontano.
Piano piano si resero conto che in fondo non si trattava
di una magia così impossibile da realizzare, almeno per
chi si accontentava degli incantesimi così così, ma
certo quei due non erano tipi da fermarsi dopo i primi
risultati.
A furia di esercitarsi insieme divennero amici per la
pelle e non passava giorno che non s’incontrassero
per tramare nuove magie o per viaggiare, anche solo con
la fantasia, verso nuovi orizzonti.
Lavoravano sodo! Il mago di carne ed ossa studiava vecchi
e polverosi libri di formule magiche dagli strani nomi,
come Jeppesen, Bottlang e AIP, cercando di trovare nuova
sapienza tra le pagine sgualcite; il mago di metallo si
affidava alle cure dei folletti dalla tuta blu che,
seguendo rigorosamente le indicazioni del Grande Manuale,
lo preparavano a realizzare tutta, ma proprio tutta la
sua metà dell’incantesimo.
A poco a poco capirono che la loro magia funzionava
sempre meglio, che avevano imparato a rispettare, ma non
più a temere, le creature dell’aria toggi il centoventunesimo anniversario.alvolta
nemiche dei maghi volanti, come la fata Nebbia, i giganti
del paese dei Cumuli e, soprattutto, il grande Dio Vento,
che spesso ce la metteva tutta per far sì che formule ed
incantesimi non andassero per il verso giusto.
I due amici non stavano più nella pelle, ma il massimo
della felicità lo raggiungevano quando potevano
condividere il loro segreto con qualcuno che lo
apprezzasse davvero.
Non era facile però trovare persone che credessero nella
magia, neppure tra quelle che incontravano in cielo; la
maggior parte di esse, infatti, spesso non si rendevano
conto che avrebbero potuto essere a loro volta dei maghi,
se pure a metà e si accontentavano di essere e di
pensare da umani, chiamando “aeroplano” la
metà metallica dell’incantesimo.
E, ciò che era peggio, per loro questa metà era fatta
di cavi e bulloni, priva di ogni spirito.
I due amici non riuscivano a capire questa via di
pensiero; ma perché, si domandavano, perché presi uno
alla volta io sono solo un uomo, tu sei solo una
macchina, ma insieme diventiamo magici?
Perché noi siamo certi che sia una magia quella ci fa
volare, mentre tutti gli altri, che sembrano a noi così
simili, dicono che i segreti del volo si chiamano
trazione e portanza?
Eppure qualcosa di diverso deve esserci, perché io e te
siamo sempre uniti in spirito anche quando non siamo in
cielo, mentre gli altri, una volta slegati, si comportano
da estranei.
Ma più domande si facevano e meno capivano.
La risposta arrivò improvvisamente proprio uno di quei
giorni in cui fata Nebbia aveva fatto tanto bene il
proprio lavoro da rendere impossibile ogni incantesimo.
I due, che avevano fatto grandi progetti per quel giorno,
stavano insieme sulla porta dell’hangar con un muso
lungo così; si erano ugualmente legati stretti
l’uno all’altro, solo per il piacere di stare
vicini, sbirciando a turno il cielo e aspettando con
ansia che la voce del vecchio saggio ATIS annunciasse una
distrazione della fata Nebbia, anche una distrazione
piccolina, di pochi minuti, tanto per fare il più
piccolo degli incantesimi, quello chiamato “giro
campo”, che però avevano imparato ad apprezzare
come i più grandi ed impegnativi, chiamati
“navigazioni”.
E fu grazie a quella bramosia di volare, anche solo un
minutino, che il significato della loro amicizia, così
diversa dalle altre, balenò in un lampo davanti ai loro
occhi: la magia per la magia! Solo per il gusto di
realizzarla, e bene anche!
Cinque minuti o tre ore, poco importa!
La consapevolezza di avere realizzato un incantesimo al
meglio delle proprie capacità, per vederlo bello e
grande e non per sfruttarlo per secondi fini.
Ecco perché gli altri, che avrebbero potuto essere dei
maghi, neppure se ne accorgevano: essi erano troppo
impegnati a portare una macchina da un aeroporto
all’altro e non capivano di vivere una condizione
fatata; ecco perché era così difficile trovare qualcuno
per condividere il gusto della magia!
La soluzione del problema rese i due amici un po’
felici ed un po’ tristi; felici perché si sentirono
uniti come non mai, tristi perché si scoprirono ricchi
di così tante emozioni da potere regalare, di così
tante esperienze da potere trasmettere, che il non avere
nessuno che ne capisse la grandezza appariva ai loro
occhi come uno spreco inammissibile.
Eppure, dicevano, qualcuno doveva pur avere la mente
giusta per comprendere.
Pensarono e ripensarono, rivoltarono la frittata da ogni
lato ed alla fine giunsero insieme alla conclusione più
logica, anche se a loro seccava un po’ ammetterlo.
Ma certo, si dissero: cerchiamo la magia per la magia, il
volo per il volo, fine a sé stesso e non necessariamente
realizzato per uno scopo preciso, così come fanno i
bambini, per i quali il gioco è il fine unico ed ultimo
e non ha motivi di essere se non per il fatto stesso di
esistere.
Ecco chi può comprenderci: i bambini, gli unici ai quali
la vita non ha ancora ammannito il piatto sciapo della
indispensabilità di un effetto per ogni azione compiuta!
I due amici compresero in un lampo che finalmente avevano
trovato un campo fertile dove gettare i semi della loro
magia e cominciarono così a chiedere, ogni volta che
incontravano un bimbo: “Chi siamo?”
Spesso la risposta era: “Un uomo ed un
aeroplano”, ma nella maggior parte dei casi due
piccoli occhietti stupefatti tradivano una diversa
risposta, forse tenuta nascosta dalla timidezza:
“Voi siete due maghi, magico è quello che fate e
magico è il mondo dove vivete”.
A tutti i padroni di questi timidi occhietti, i due maghi
si fecero carico di rivelare un po’ del loro
incantesimo, non troppo, per non farlo sembrare né
facile né banale, ma quel tanto che bastava per farlo
attecchire se il terreno fosse stato adatto.
Ed evidentemente di buona terra ne trovarono e la loro
passione ed il loro amore furono buoni aratri.
Oggi, infatti, di maghi a metà ce ne sono molti; sono
tutti quelli che, alcuni di carne ed ossa, altri di
metallo, hanno saputo restare, dietro la faccia seria e
professionale o dietro le linee moderne ed aggressive, un
po’ bambini.
Sono tutti quelli che ogni volta che spingono una manetta
a fondo corsa, o che danno il massimo della loro potenza
meccanica per staccarsi da terra, non dimenticano mai di
essere gli artefici di qualcosa di bello e di grande e
non soltanto i realizzatori di un principio fisico.
Quello che sanno l’hanno imparato da soli: i due
amici di un tempo li hanno solo indirizzati sulla giusta
via, ma loro hanno avuto la voglia e la tenacia di
seguirla.
Perciò, quando vedete un bimbo che non fugge davanti ad
un’ape ronzante, ma la osserva curioso, o che guarda
incantato un foglio di carta piegato mentre galleggia
nell’aria, o che, sgranando gli occhi davanti ad un
aereo che decolla non sente il rombo del motore, ma il
suono della magia, per favore, non costringetelo a
crescere se non vuole e soprattutto, non deridetelo!
C’è un piccolo mago in lui. Anche se solo a metà.
Buon non-Natale! Non dimenticatevi mai del Cappellaio
Matto.
|