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Rientravo a piedi dal lavoro quando, complice un’occhiata di timido sole, sono stato avvicinato da una famiglia di turisti con tanto di macchina fotografica al collo e bimbi per mano. Volevano sapere dove andare a mangiare qualcosa in centro, non proprio una cena completa, giusto un assaggio della cucina locale, spendendo il giusto e magari in un luogo dove si potesse fare razzolare un po’ i bambini senza doverli legare ad una sedia e che contemplasse nel menu anche qualche piatto dedicato all’appetito dei piu’ piccoli. Stendo un pietoso velo sulla loro sorpresa, accortisi di avere finalmente trovato un interlocutore che parlava un inglese decente e sulle relative perplessita’ riguardanti la difficolta’ di intendersi con la gente per strada, nei negozi o nelle altre strutture ricettive non conoscendo l’italiano. Certo e’ che anche da queste piccole cose dovrebbe cominciare il concetto di “citta’ turistica”, soprattutto quando si appartiene ad un popolo che pretende di trovare chi parla italiano in qualunque angolo del mondo, fino al punto di meravigliarsi del fatto (sentito con le mie orecchie) che il giorno di Pasqua a Nôtre Dame de Paris la Santa Messa fosse celebrata in francese e non in italiano… Tornando alla domanda dei miei occasionali interlocutori, devo ammettere di essermi trovato in sincera difficolta’, soprattutto per quanto riguarda il concetto di “spendere il giusto”. Tasche piene di franchi svizzeri ed abituate a pagare al ristorante una bottiglia d’acqua quanto noi paghiamo un vino d’annata, possono riconoscere come equa una tariffa che per altri sarebbe assolutamente elevata, cosi’ come turisti provenienti da alcuni paesi mediterranei potrebbero considerare Como quale quella citta’ troppo cara che effettivamente e’. Appurata l’origine danese dei turisti, non mi e’ stato difficile immaginare che il loro portafogli potesse essere un po’ piu’ gonfio del mio, ma che il loro concetto di spendere il giusto fosse ben diverso da quello dei nostri vicini di frontiera. Obiettivamente di ristoranti dove a Como si possa mangiare bene ne conosco piu’ di uno; qualcuno di certo offre specialita’ locali e sicuramente si puo’ trovare qualche ristoratore di buon cuore che non rifili a dozzine di euro e con la scusa che e’ tenero, un controfiletto ad un bimbo che al massimo avrebbe voglia di un po’ di patatine fritte. La difficolta’ era quella di fare quagliare quanto sopra con una spesa logica, considerando che i due bimbi avrebbero consumato pochi grammi di cibo in due; purtroppo dalle nostre parti non esiste nulla che assomigli alle “cafeterie” che si trovano un po’ dappertutto in Europa, dove a qualunque ora del giorno e della notte vengono indifferentemente servite allo stesso tavolo pietanze complete, oppure semplicemente un sandwich, un’omelette, o una bevanda accompagnata da un dolce o da un’insalata, o magari un caffe’ e nient’altro. E’ avvenuto cosi’ che una semplice richiesta di informazioni si trasformasse in una contrattazione, per capire quanto i giovani turisti volessero spendere ed evitare loro di incorrere in bidonate assurde, come gia’ capitato il giorno precedente dopo essersi fatti abbindolare da un locale del centro, apparentemente travestito da osteria casalinga, ma con prezzi da ristorante di lusso. Ci siamo accordati su cinquanta euro, una cifra sufficiente nel loro paese per consumare un piatto decente in una cafeteria in quattro persone, diciamo tre, viste le dimensioni dei due piccoli. Non potevo non concordare, conoscendo bene la Danimarca da quasi trent’anni; d’altra parte cinquanta euro sono circa centomila lire del vecchio conio, che pochi anni fa sarebbero sembrate una follia per uscire una sera, ma che oggi, abituati a trattare gli euro come i soldi del Monopoli, appaiono una cifra quasi ridicola che mi ha messo alle corde nella ormai improbabile impresa di dare indicazioni utili. Quando penso che fatico a stare sotto i venticinque euro quando vado a mangiare una semplice pizza con mia moglie, cinquanta euro sono un traguardo troppo velocemente raggiungibile, soprattutto se avessi indicato ai nordici un ristorante “ufficiale” dove magari sedendosi in quattro, poco importa l’eta’, la prima decina di euro rischiava di restare li’ solo per il pane e il coperto. Subito scartata l’idea di un bel panino in riva al lago: gia’ fatto a mezzogiorno e quasi trenta euro per tre sandwich e qualcosa da bere; no all’idea della pizza, dove contavo di starci col budget sperando che i grandi non esagerassero con la birra, che ormai gira a prezzi da cognac stravecchio e che non si indugiasse poi con dolci o gelati. Stasera avevano voglia di “local food” e la sfortuna voleva che mi fossero capitati gli unici stranieri in tutto il mondo ad essere consci del fatto che pizza non e’ sinonimo di qualunque angolo d’Italia, ma di una precisa regione del Bel Paese. Stavo per disimpegnarmi dalla tribu’ venuta dal nord e filarmela all’inglese quando la domanda da centomila dollari mi ha tagliato le gambe: “Dove va lei di solito, quando esce a cena?” Come fare a spiegare ad una famigliola di ragazzi per bene, con due bimbi con i capelli cosi’ biondi da potercisi specchiare dentro, con un sorriso smagliante e pieno di fiducia e con tanta voglia di conoscere la nostra citta’ che qua, da che c’e’ l’euro, con uno stipendio da impiegato c’e’ poco da sfogliar verze e che uscire la sera e’ diventato un lusso che ci si puo’ concedere ben poche volte e rigorosamente per una pizza e nulla piu’? Come fare a spiegare loro, fortunati possessori di corone e non di euro, che qua l’unico cambio che e’ rimasto reale e’ stato quello “tot lire di stipendio uguale a tot euro di stipendio”, ma che tutto il resto e’ raddoppiato o quasi e che quello che prima costava mille lire adesso costa un euro e quindi il potere d’acquisto si e’ pressoche’ dimezzato e con esso si e’ dimezzata la qualita’ di vita? Come fare a spiegare che Como e’ una citta’ carissima e che non e’ la stessa cosa sedersi a cena qua oppure in Abruzzo, dove i nordici avevano passato l’estate scorsa e dove ai bimbi non avevano neppure esposto il conto perche’ avevano mangiato poco, anzi, la mattina dopo avevano regalato loro le brioches? E poi era davvero questa l’immagine che volevo trasmettere a turisti che avevano fatto migliaia di chilometri per vedere le sponde del nostro lago? L’immagine di una citta’ che si dice turistica ma dove poi “ti pelano”, dove fatichi a trovare un’indicazione se non parli italiano, dove e’ difficile comperare i biglietti di un autobus perche’ non vengono venduti dall’autista, come dappertutto in giro per il mondo, ma solo in alcune edicole, bar o tabaccherie? E dove fai fatica persino ad avere un’indicazione da uno del posto, che non sa dove mandarti a cena? No, ne dovevo venire fuori in qualche modo: il minimo che si aspetta un turista, specie all’estero e’ la cortesia, l’educazione e un po’ di impegno per risolvere i propri problemi, per quanto possano essere banali come trovare un buon posto per cenare. Alla fine, un po’ sforzandomi e un po’ barando, ho avuto la botta d’ingegno: “did you ever eat piadina?” Avete mangiato mai la piadina? Sorpresa dall’altra parte ed io, da bravo italiano sempre pronto ad attaccarsi ai cavilli, ho raccontato loro di come questo sia un piatto tipico dell’Italia del nord, alla quale appartiene la Romagna, patria della piadina e alla quale appartiene Como, quindi poteva essere a tutti gli effetti considerata local food… Inutile dire che non mi e’ sembrato il caso di spaccare il capello in quattro e spiegare che la Romagna e’ distante trecento chilometri o piu’; il concetto di “Northern Italy” poteva bastare! Forse sono stato convincente, forse avevano fame, forse erano un po’ boccaloni, ma l’idea e’ stata accolta; non avrebbero mangiato proprio un piatto comasco, ma sarebbe stata l’occasione per assaggiare qualcosa di buono e di diverso. Nel locale dove li ho inviati, che e’ uno dei pochi esercizi che posso permettermi ancora di frequentare, so che saranno stati accolti con simpatia, cordialita’, con un sorriso per tutti, bimbi compresi e non avranno speso una cifra assurda, anzi, forse con i cinquanta euro di budget si saranno potuti permettere anche un cono gelato sul lungolago. Se poi abbiano trovato anche un menu’ scritto in inglese, francamente non lo so, ma piadina e’ un nome internazionale e, da oggi, in qualche lontano paese del nord Europa sara’ associato alla citta’ di Como. Speriamo che i romagnoli non se la prendano e non comincino a vantare la paternita’ dei missultit…
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