Vedi le foto dei campionati mondiali
Lo
sport lariano e’ da sempre prodigo di soddisfazioni; gli allori
approdati sulle sponde del lago sono tanti, grazie ad atleti piu’ o
meno noti, che si sono cimentati a livello nazionale, europeo, mondiale
od olimpico.
Sarebbe difficile stilare un elenco completo di coloro che hanno portato
in alto il nome della nostra citta’ e sicuramente si farebbe torto a
qualcuno; tuttavia basta pensare alla tradizione remiera, ai fasti della
pallacanestro, ai calciatori che dallo Stadio Sinigaglia sono approdati
alla nazionale azzurra, nonche’ a splendide individualita’ come
quelle di Alberto Cova o del compianto Fabio Casartelli, per rendersi
conto che davvero Como occupa un posto di tutto rilievo nei palmares
dello sport mondiale.
Questa volta, se non proprio un alloro, almeno una piccola soddisfazione
arriva da uno sport minore, uno di quegli sport che nessuno segue,
ignorandone o quasi l’esistenza, uno sport fatto di silenzio, di
fatica, di sudore, uno sport dove di soldi non ne girano, grazie a Dio,
cosi’ non c’e’ la tentazione di inquinare l’ambiente agonistico
con porcherie chimiche e con tutte le altre problematiche che troppo
spesso affliggono attivita’ sportive piu’ ricche e blasonate.
Uno sport “puro”, insomma.
Dal 11 al 13 settembre si sono svolti nella splendida cornice della
Carinzia austriaca i campionati mondiali di Nordic Walking, la marcia
nordica caratterizzata dall’uso, oltre che di buone gambe, di due
bastoni simili a quelli impugnati dagli sciatori di fondo.
Uno sport che da noi e’ assolutamente sconosciuto, ma che dalla
Confederazione Elvetica in su e’ talmente diffuso da essere una delle
attivita’ sportive che contano il maggiore numero di adepti in Europa.
I campionati hanno riunito professionisti e dilettanti del settore,
convenuti persino dalle coste dell’Africa meridionale per disputarsi i
titoli mondiali in due diverse specialita’: il Cross Country, la gara
su strada lungo i ventuno e rotti chilometri della mezza maratona ed il
Nordic Hill, la gara in salita su percorso di montagna.
A rappresentare l’Italia, due comaschi non propriamente giovanissimi:
Daniela Basso, classe 1959 e Giorgio Rizzi, classe 1956.
Da tempo appassionati cultori del Nordic Walking, conosciuto durante i
loro numerosi viaggi nei paesi scandinavi e ormai da diversi anni
praticanti di questo sport a livello agonistico, i due comaschi,
dilettanti puri, sono stati impegnati nella specialita’ del Cross
Country.
Provenendo da una nazione che tranquillamente puo’ essere considerata
una delle cenerentole mondiali di questo sport, c’era da aspettarsi
che l’ultimo posto in classifica generale fosse gia’ riservato ai
due azzurri e che l’unico risultato ottenibile fosse una nota di
folklore e di simpatia nei confronti di questi strampalati italiani, che
invece di pensare alla pizza ed al mandolino si sfinivano ad arrancare
lungo un tortuoso tracciato mitteleuropeo, ben lontani dalle terga dei
campioni locali, professionisti acclamati dal pubblico e dai media.
Consci del fatto che il mondiale avrebbe richiamato concorrenti di
elevato livello tecnico ed atletico, i due comaschi non hanno voluto
lasciare nulla al caso e hanno affrontato una stagione di allenamento e
di rifinitura molto intensa e meticolosa, che ha spaziato da
un’adeguata preparazione fisica e tecnica alla ricerca della migliore
attrezzatura, operazione quest’ultima quanto mai impegnativa visto che
presso i locali fornitori la disponibilita’ di attrezzi competitivi
e’ praticamente nulla.
Lunghe ricerche in Internet hanno consentito ai due atleti di
presentarsi in Austria con dotazioni di tutto riguardo e, di
conseguenza, senza scuse per eventuali cattivi risultati.
Dal punto di vista atletico, non si e’ trattato solo di “mettere
chilometri” nelle gambe, ma anche di affinare la tecnica, studiare
un’adeguata tattica di gara e migliorare i tempi di “cambio
gomme”.
Il Nordic Walking prevede infatti l’uso di diversi tipi di puntale in
funzione del terreno; in particolar modo passando da terreni morbidi,
come l’erba o lo sterrato, all’asfalto, e’ necessario dotare il
bastone di un “asphalt pad”, un tampone di gomma completo di
battistrada che garantisce un’adeguata aderenza e quindi la
possibilita’ di scaricare al suolo la forza delle braccia.
La manovra comporta un notevole rallentamento della marcia o il completo
arresto; su un tracciato come quello dei mondiali, che richiedeva ben
otto cambi di puntale, era dunque importante essere allenati a pit stop
velocissimi, proprio come nelle gare di Formula Uno che spesso si
giocano piu’ ai box che sul circuito.
Si e’ lavorato anche sulle mescole della gomma per essere pronti alle
particolari condizioni dell’asfalto; si sono dunque sperimentate un
paio di diverse soluzioni, una piu’ densa, meno scolpita ma piu’
durevole su terreni caldi e ruvidi ed una piu’ morbida, con maggiore
battistrada, piu’ rapidamente deteriorabile ma piu’ efficace sul
bagnato o con basse temperature.
Insomma, quando lo starter ha alzato la pistola per dare il via al
Campionato del Mondo 2009, cio’ che era nelle possibilita’ dei due
comaschi, tecnici di se stessi e senza alcuna squadra o sponsor alle
spalle, era stato fatto; il resto sarebbe stato solo una faccenda di
gambe, di fiato, di cuore, di voglia di soffrire.
Partita senza troppi timori reverenziali, Daniela Basso, che gia’
piu’ volte e’ riuscita a suonarle sode ad atlete teutoniche
decisamente piu’ giovani e con fisici da valchiria, e’ filata via
decisa lungo i ventuno chilometri del tracciato, una distanza che poco
le si addice, vista la sua propensione a dare il meglio in gare piu’
corte e piu’ veloci.
Una giornata di salute non perfetta e una tattica di gara un po’
troppo audace le hanno negato la soddisfazione di una medaglia di
bronzo, che fino agli ultimissimi chilometri sembrava saldamente al suo
collo; una crisi forse piu’ emotiva che fisica l’ha costretta a
rallentare quando il traguardo era ormai in vista.
Al di la’ del suo rammarico personale, visto che un podio era
tranquillamente a portata di tiro, il risultato finale e’ di quelli da
leccarsi i baffi: il quinto posto alla prima esperienza mondiale e’
roba per la quale si sarebbe messa un’enorme firma fino al giorno
prima e di certo il folto pubblico presente non ha gridato “Italia,
Italia” per nulla.
Daniela non e’ certo tipo da deprimersi e, appena sbollita la rabbia,
c’e’ da giurarci che comincera’ ad affilare le unghie per i
prossimi campionati e allora saranno dolori…
Giorgio Rizzi ha messo in pratica cio’ che ha sempre pensato e cioe’
che gli sport di fondo siano fatti piu’ di testa che di fisicita’ e
persino di un po’ di rassegnazione (“a ogni gara dopo tre
chilometri mi domando cosa diavolo sto facendo, ma poi realizzo che
ormai sono in ballo e che quindi anche stavolta tirero’ fino al
traguardo”…).
Alle prese fin dalla partenza con concorrenti ben piu’ giovani di lui
– i capelli bianchi avranno anche il loro fascino, ma non aiutano
granche’ quando si tratta di macinare asfalto - ha sopito la sue
caratteristiche di sprinter e, con grande fatica, e’ riuscito ad
andare piu’ adagio di quanto avrebbe voluto nella prima parte del
percorso, risparmiando energie per la parte finale che, sadicamente, era
quella costellata dalle maggiori difficolta’.
Una tattica che ha dato i suoi frutti; dopo circa quindici chilometri,
quando il circuito si addentrava in un lungo tratto di sterrato reso
fangoso dalle piogge del giorno precedente, Giorgio e’ riuscito ad
allungare con decisione, sfruttando le prime crisi dei concorrenti che
lo precedevano e risalendo numerose posizioni, per prodursi in un
allungo finale dagli ottimi riscontri cronometrici che ha portato il
pubblico presente a mettere da parte per un attimo le innumerevoli
bandiere austriache e a fare il tifo per questo “giovincello”
italiano che andava sparato verso il traguardo.
Per lui un quindicesimo posto che va oltre le rosee aspettative, il
record personale sulla mezza maratona e un bel ricordo da archiviare
nella memoria.
Per entrambi e’ stata comunque un’esperienza indimenticabile, al di
la’ dei risultati ottenuti; rimane l’orgoglio di essere i primi
italiani ad avere acquisito una classifica mondiale in questo sport e di
avere dimostrato in un altro settore delle umane attivita’ che il
tricolore non e’ solo sinonimo di mafia e spaghetti, ma che ci sono
personaggi che ce la mettono tutta per farlo sventolare, pur essendo
profondamente critici con le mille magagne che affliggono questa
nazione.
L’appuntamento e’ per il prossimo anno; ci sono dei risultati
discreti da difendere e “noblesse oblige”.
Eventuali sponsor sono avvisati.
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